Orientarsi oggi fra le nuove intelligenze umane e artificiali

L’impatto dell’innovazione tecnologica sulle dinamiche del lavoro

Per non limitarsi a gestire le conseguenze sociali della quarta rivoluzione industriale va lanciata una grande stagione di progettazione partecipata

Automazione e occupazione, ma non solo

I primi risultati di un’analisi sulla probabilità di automazione delle professioni negli Stati Uniti risalgono a cinque anni fa. È ormai nota la figura (vedi fig. 1) con cui gli studiosi dell’Università di Oxford (FreyOsborne, 2013) indicavano plasticamente come il 40 % delle professioni presenti nel mercato del lavoro americano rischi di essere sostituito da robot, software ed algoritmi nel giro di 20 anni. L’indagine ha aperto un lungo e articolato dibattito tuttora in corso. Un recente studio dell’OCSE (Arntz et al. 2016) propone una verifica dei possibili trend di totale automazione delle occupazioni nei paesi sviluppati: a rischio sarebbe il solo 9%, ma la percentuale sale al 50 % per le professioni che richiedono un livello di istruzione primaria. Un ulteriore 20-35 % sul totale delle occupazioni vedrà nei prossimi anni una rilevante parte delle loro mansioni tipiche (per il 50-70% sul totale) interessata da processi di automazione.

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Figura 1 Fonte: Frey & Osborne (2013).

La discussione non è certamente nuova nelle scienze economiche e sociali, perlomeno dall’epoca di Ned Ludd in poi. Tuttavia, il tema odierno dell’impatto futuro della nuova Intelligenza Artificiale non può essere sottovalutato. Quest’ultima tecnologia, infatti, si configura (Bynjolfsson et al., 2016, Greenfield 2017) tanto una general purpose, la cui applicazione promette di determinare innovazioni in un numero vastissimo di processi produttivi, organizzativi e sociali in generale quanto una tecnologia radicale. Ciò che soprattutto cambia è che con l’applicazione di tecniche “neuronali” di apprendimento (il cosiddetto deep learning), le macchine non hanno più bisogno di essere “istruite” mediante lunghi processi di programmazione operativa.

La tecnica del deep learning fa sì che l’intelligenza artificiale elabori in modo autonomo enormi volumi di micro-dati. L’apprendimento di compiti (task) da parte della macchina si traduce in un processo “statistico” in cui le micro-operazioni che compongono un particolare compito sono assunte dalla macchina stessa, mediante una costante e infinita attività di trial and error, sino ad individuare quelle soluzioni statisticamente migliori e più performanti, senza bisogno di una costante supervisione umana. Inoltre, il deep learning permette forme di apprendimento relative a quei compiti complessi che gli esseri umani sanno fare, ma che, in molti casi, non sanno descrivere e con ciò tradurre in specifiche operazioni codificate (Polanyi, 1966).

Sapremmo, infatti, (noi umani) descrivere facilmente come guidiamo una bicicletta stando in equilibrio? Oppure, elencare in poche parole i criteri utilizzati per distinguere in modo istantaneo una sedia da un tavolo? Per un bambino di quattro anni, si tratta di funzioni semplici da eseguire, non da descrivere. Non così per un’intelligenza artificiale, (in entrambi i casi), perlomeno fino all’avvento del deep learning. Anche per questi motivi, Frey e Osborne individuano quei fattori che, se presenti nelle diverse occupazioni del futuro, ne determineranno la probabile sopravvivenza o perlomeno un (temporaneo) freno all’automazione.

Si tratta di tre grandi capacità umane:

  1. percezione e manipolazione degli oggetti: i robot e gli algoritmi informatici non hanno ancora raggiunto il livello umano di percezione degli oggetti, soprattutto di forma irregolare e collocati in ambienti non strutturati; la stessa capacità di manipolazione è ancora limitata a sequenze di azioni routinarie e con gradi di sofisticazione del “trattamento” degli oggetti ancora assai lontani dalle capacità umane: le professioni che richiedono una elevata destrezza manuale (come quelle del parrucchiere o del giardiniere) sono ancora al riparo dai processi automativi;
  2. creatività: cioè la capacità di elaborare, in termini nuovi e di valore, idee (concetti, poemi, composizioni musicali, teorie scientifiche, ma anche ricette di cucina o barzellette ecc.) come anche artefatti (quali dipinti, sculture, macchinari, prodotti artigianali ecc.);
  3. intelligenza emotiva e sociale: che comprende funzioni come la cura interpersonale, l’empatia, ma anche la negoziazione, la persuasione, ecc. Per tali competenze, è necessario apprendere e utilizzare un’enorme mole di informazioni che permettono all’essere umano di fare ricorso ad un “senso comune” nella gestione di relazioni umane (bilaterali, di gruppo, sociali).

Si tratta di assunti non banali per chi si occupa o riflette sul futuro dell’orientamento professionale. In una recente indagine (US Bureau of Labor Statistics, 2014), le professioni che appaiono in maggiore espansione nei prossimi 15 anni negli Stati Uniti, sono gli assistenti di cura personali, gli assistenti sanitari domiciliari, gli operatori sanitari e quelli alle relazioni di vendita, vendita e somministrazione pasti (fig. 2).

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Figura 2: Le professioni in maggiore espansione negli Stati Uniti nei prossimi 15 anni; Fonte: U.S. Bureau of Labor Statistics

Si tratta di previsioni basate su robuste analisi sui movimenti di entrata e uscita dal mercato del lavoro americano e che guardano non solo alla percentuale di crescita nelle singole occupazioni, ma anche a quanto tale crescita si traduca in termini di nuovi posti di lavoro. Così si potrebbe sicuramente dire, anche per il contesto europeo, che figure come l’esperto di reti informatiche, il data manager, l’esperto di intelligenza artificiale testimoniano tassi di crescita significativi della loro domanda, ma i livelli assoluti rimangono ridotti. Sembra controintuitivo (ma invece profondamente logico) rilevare che, nell’era dell’intelligenza artificiale, le professioni che sembrano le più richieste, in senso assoluto, sono proprio quelle che meno hanno a che fare con le macchine e con le loro procedure automatizzanti. Anzi, coerentemente con il modello di Frey e Osborne, la crescita geometrica di figure operanti principalmente nel campo sociale e sanitario (i cosiddetti empathy workers), segnala come sia proprio la componente “umana” ad essere centrale nella richiesta di tali professioni. Si faccia però attenzione: in questo caso, la componente umana costituisce in re ipsa il valore aggiunto del servizio ricercato, la dimensione di “esperienza” che viene apprezzata per chi ne fruisce, e che è insostituibile rispetto ad un servizio offerto da una macchina. Si tratta dunque di qualità quali l’empatia, la solidarietà, la creatività, ecc.

Sfide

Quali sono le conseguenze per un possibile aggiornamento del disegno delle nuove politiche per l’orientamento professionale nei Paesi Europei? In che misura, la riflessione in corso in Europa sul futuro del lavoro tiene conto delle dirette conseguenze adombrate dalle analisi menzionate sopra? È innanzi tutto importante riconoscere come nel campo della previsione delle future figure professionali a livello europeo gli studi e strumentazioni siano ancora in una fase sperimentale. Si pensi ad esempio allo strumento dello Skills Panorama (http://skillspanorama. cedefop.europa.eu/en), progettato dall’Agenzia Europea Cedefop di Salonicco, utile per una ricomposizione delle skills forecasting svolte presso i diversi Paesi Membri. Tuttavia, si tratta ancora di piattaforme che si basano sulla composizione di indagini non omogenee, più o meno avanzate a seconda della “maturità” dei sistemi nazionali di ricognizione ed elaborazione di microdati relativi ai diversi mercati del lavoro. D’altra parte, il dibattito in letteratura sulle raccomandazioni da formulare ai policy maker, sembra oggi divaricarsi in due diversi approcci, che potrebbe essere più fruttuoso combinare e intrecciare nei postulati più promettenti.

Il primo è quello che si ispira alla visione schumpeteriana, secondo cui l’effetto distruttivo delle macchine sull’occupazione può essere compensato dalla creazione di nuove figure professionali, se solo il sistema educativo-formativo fosse capace di rispondere alle nuove esigenze del sistema produttivo. Come suggeriscono Brynjolfsson e McAfee (2011), occorre una race with the machine, cioè ingaggiare una “corsa” con le macchine, e dunque accompagnare la loro capacità di cambiamento radicale dei sistemi produttivi con la preparazione di figure professionali fortemente specializzate che sappiano gestirle, ovvero governarle. Ma non sappiamo se ciò sia sufficiente per temperare l’indiscutibile erosione in atto di quella classe media che nel lungo periodo espansivo post-bellico è stata costituita da operai specializzati e figure impiegatizie, di cui una componente non piccola di funzioni è stata incorporata nei processi di automazione (o in quelli di delocalizzazione mondiale). Ne risulta un progressivo “scivolamento” di quote rilevanti di offerta di lavoro in comparti del settore terziario, caratterizzati da forte precarietà retributiva e contrattuale (Autor 2015). Il fatto poi che tali impieghi si risolvano in servizi alle persone pone anche un quesito in merito al futuro della produttività del lavoro (OECD, 2015; Goos et al., 2016). Come misurare la produttività dei lavoratori domestici? O di un operatore alle cure estetiche? O ancora, di professioni culturali e creative? Le metriche ordinarie di misurazione del valore economico e di conseguenza anche i parametri in passato utilizzati per la contrattazione collettiva applicata alle professioni industriali e alle eventuali pre-condizioni per concordare gli aumenti salariali, appaiono di difficile applicazione a queste professioni. Ciò può forse suggerire una possibile ragione per cui la dinamica della produttività del lavoro registri in questi anni tassi di crescita inferiori a quelli registrati nel periodo post-bellico.

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Ernesto Paulin Il Muro, 2001 murales, tecnica mista materica, particolare, cm. 150×220 circa versi di Alberto Princis, foto Kusterle

Un secondo approccio di policy è quello delle politiche attive per promuovere una formazione di base ed universale sulle competenze digitali (OECD, 2016; European Commission, 2018a) con particolare attenzione alle persone con bassi titoli di studio e ai giovani. Nel suo ultimo rapporto sull’occupazione (OECD, 2017), l’OCSE raccomanda l’adozione di programmi generalizzati ed estensivi per la promozione e diffusione delle competenze digitali che includano anche attività sul lavoro e incentivi e sgravi fiscali per promuovere la partecipazione dei lavoratori meno istruiti. Tale raccomandazione è coerente con le analisi circa l’impatto dei processi di automazione sulle dinamiche di polarizzazione nelle diverse categorie di lavoratori ed in particolare di quelli con livelli di specializzazione media, associati alle funzioni semi-routinarie e operanti nel settore industriale. Appare altresì coerente con la recente enfasi sulla resilienza dei sistemi socio-economici, cioè con quella capacità complessiva di soddisfare i livelli correnti di benessere, senza compromettere quelli delle generazioni future.

Propagazioni

Come per le passate ondate tecnologiche, l’automazione, forma suprema di meccanizzazione del vivente, si manifesta sul piano sociale per i risvolti sulla quantità e qualità dell’occupazione. L’automazione può investire interi cicli di lavorazione, oppure mansioni, oppure sotto insiemi di compiti (task): le correlate professioni e le competenze che le innervano ne sono intaccate, cancellate. I possibili scenari evolutivi della tecnologia stessa, anche limitatamente alle sottotraiettorie dei suoi possibili standard impattano su quei fabbisogni di competenze che è utile riconoscere – ancorché nelle sue linee essenziali – per tempo, per approntare strategie formative coerenti, creando osservatori e poli di attuazione e valutazione di progettualità, cioè dei centri di produzione di conoscenza, analoghi a quelli dei laboratori di Ricerca e Sviluppo.

Per gli economisti, il cambiamento a una situazione più efficiente è problematico solo nella misura in cui non risolve, nel corso della transizione, il problema di equità, vale a dire la “compensazione” di chi “perde” da parte di chi ci “guadagna”, in virtù dell’assunto che i guadagni di efficienza saranno sempre tali da generare le risorse per assicurare tale compensazione (Cantalupi 1998). Spogliata dalle astrazioni dottrinarie, sul “campo” la transizione, in particolar modo quella occupazionale, non solo non è facilmente quantificabile, ma è anche e sempre istituzionalmente connotata. La Grande Recessione, che dobbiamo considerare una singolarità dei processi di ristrutturazione e delocalizzazione degli ultimi 20-25 anni e quindi la punta dell’iceberg di un movimento tettonico che altera il modo stesso di produrre e consumare, ha riproposto una vecchia lezione: i percorsi di riqualificazione per chi perde il lavoro e la ridefinizione delle condizioni e ambienti di lavoro sono percorsi negoziati, estremamente differenziati per territori, settori, dimensioni aziendali. La digitalizzazione è un processo diffusivo, che tuttavia non è riducibile al paradigma biologico, per quanto forte sia la tendenza narrativa corrente a presentarlo in tal modo. È invece un processo sociale e quindi progettabile e negoziabile.

Da questo punto di vista il dialogo sociale, la cui centralità è stata recentemente nuovamente enfatizzata dalla Commissione Europea all’interno del Pilastro Sociale, è sicuro fattore di resilienza per i sistemi socio-economici. Il motivo è chiaro: a livello di sistemi nazionali la sfida sociale della digitalizzazione richiede, per essere efficacemente raccolta, lo sviluppo di un’adeguata governance multi-livello di cui parte integrante devono essere considerate le parti sociali, la cui conoscenza delle situazioni locali e di attivazione di piani congruenti è dirimente (European Commission 2018b).

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Paolo Figar Piccolo Napoleone, 1999 legno, h. cm. 88

L’attuale shock tecnologico va peraltro considerato anche per una seconda e non meno rilevante caratteristica, la cui dinamica di propagazione si spinge oltre a quella ora discussa. Le tecnologie odierne sono radicali, nel senso che entrano in maniera prepotente e invasiva all’interno del disegno stesso della vita, lavorativa e non: non solo “modi” di produrre beni e servizi, ma anche “modi” di gestire e ridefinire il lavoro. In Europa, il dialogo sociale settoriale (Dregryse 2017) – che dal 2014 ha affrontato gli sviluppi nel settore dei trasporti, turistico, assicurativo, chimico, metallurgico – ha sottolineato molto chiaramente le molteplici propagazioni dell’automazione/digitalizzazione sul mondo del lavoro.

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Tabella 1: European Commission (2017), Digital Scoreboard

Per i nuovi lavori, si va dalla segmentazione e compressione salariale alle tutele ai nuovi modelli di rappresentanza. Cominciano ad essere conosciuti i rischi sociali connessi allo sviluppo dei sistemi “direzionali digitali”, il cui ruolo di misurazione della performance individuale e nelle pratiche di reclutamento rischia facilmente di trasformarsi nel tentativo di creare una cornice di complessiva subordinazione del lavoro e delle soggettività, in una compressione dei diritti. La sfida dell’automazione si riverbera dunque sull’asse occupazione-competenze; sulla dinamica salariale e quindi della distribuzione del reddito; sui temi delle tutele e dell’equità intergenerazionale. I fabbisogni di orientamento, riqualificazione (e quindi di formazione aziendale) sono eterogenei, vanno calibrati sulla base delle strutture settoriali. È anche una sfida per le politiche di coesione, nella misura in cui intere regioni sono caratterizzate da elevate quote di lavorazioni soggette a rapida automazione e quindi obsolescenza economica, in assenza di comprensivi ed efficaci progetti di aggiornamento delle competenze.

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Roberto Nanut Maternità s.d. legno, h. cm. 150

Un’ultima annotazione riguarda i legami tra digitalizzazione e educazione. All’interno del Quadro Europeo per le competenze digitali, tale competenza è annoverata tra le otto competenze chiave dell’apprendimento lifelong learning: una competenza funzionale alla piena partecipazione sociale e quindi all’inclusione. Competenze per la “vita”, indispensabili tanto per il futuro accesso al modo del lavoro ma anche per l’accesso al consumo (ad esempio nelle scelte finanziarie). Al pari di quelle numeriche e letterali le competenze digitali sono ricondotte ad un diritto. Circa il 40% dei disoccupati in area Ocse non possiede competenze digitali, e il 40% ritiene che le competenze attuali non siano sufficienti per trovare un nuovo impiego. Rispetto ai dati medi europei, l’Italia (vedi tabella 1) appare in ritardo, con marcate differenze territoriali (Istat 2018). Nel Digital Action Plan della Commissione Europea, la educational robotics è intesa quale strumento allo sviluppo della innovazione pedagogica. Il punto di partenza è la domanda di applicazioni a banda-larga necessarie per modificare gli ambienti scolastici pubblici in direzione dell’“apprendimento immersivo”, ma la loro corretta integrazione richiede, oltre l’aggiornamento delle competenze delle figure professionali coinvolte, complesse attività di condivisione, negoziazione, pianificazione che investono l’ambito pedagogico, organizzativo e regolativo.

Marco Cantalupi
Economista

Gabriele Marzano
Sociologo del lavoro

 

L’articolo è stato pubblicato nella rivista Quaderno di orientamento – numero 52 – primo semestre 2018.

Tutti i numeri della rivista sono consultabili al seguente link

 

Bibliografia

  • Arntz M., Gregory T., Zierahn U., The risk of automation for jobs in OECD countries: A comparative analysis, OECD Social, Employment and Migration Working Papers, No. 189, OECD Publishing, Paris, 2016.
  • Autor D.H., “Why Are There Still So Many Jobs? The History and Future of Workplace Automation”, Journal of Economic Perspectives, Vol. 29/3, pp. 3-30, 2015.
  • Brynjolfsson E., McAfee E. A., The race against the machine, Digital Frontier Press, Lexington, 2011.
  • Brynjolfsson E., McAfee E. A., Human Work in the Robotic Future: Policy for the Age of Automation, Foreign Affairs, 2016.
  • Cantalupi M., Transizione, in (a cura di, H. Jaffe e A. Romagnoli) Economia politica, Jaca Book, Milano, 1998.
  • Dregryse C., The relaunch of European social dialogue: what has been achieved up to now?, 2017.
  • EUROPEAN COMMISSION, Commission Staff Working Document accompanying Communication on the Digital Education Action Plan, Brussels, 2018a.
  • EUROPEAN COMMISSION, Commission Staff Working Document accompanying Communication on the Digital Education Action Plan, Brussels, 2016b.
  • Frey C. B., Osborne M. A., The future of employment: How susceptible are jobs to computerisation?, Working Paper, Oxford Martin School, University of Oxford, Oxford, 2013.
  • Goos, M., J. Konings E., Rademakers, Future of Work in the Digital Age: Evidence from OECD Countries, Flexibility@work2016, 2016.
  • Greenfield A., Radical technologies. The Design of everyday life, London, Verso, 2017.
  • ISTAT, Rapporto sulla conoscenza in Italia, 2018.

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