Nelle tasche dei ricordi

L’eredità di Maria Luisa Pombeni

Quando incontro il mio nipotino, lui si avvicina e mette le sue manine nelle mie tasche perché sa che dentro potrà trovarci delle caramelle, una macchinina…sa che troverà qualcosa per lui”

Prologo

Questo racconto dalla sua vita personale, che la Professoressa Maria Luisa Pombeni ci ha regalato, è uno dei nostri ricordi più vivi quando pensiamo a lei. Questo perché ognuno di noi quando la incontrava sapeva che “dentro alle sue tasche” poteva sempre trovare una risposta, un’ispirazione per un progetto o una conduzione di un laboratorio, un significato, un’idea, uno stimolo non solo da un punto di vista professionale ma anche personale.

Sarebbero bastate le sue lezioni accademiche in aula e nei corsi di perfezionamento e le sue pubblicazioni a rendere il suo insegnamento straordinario, ma noi che abbiamo avuto la fortuna di crescere professionalmente accanto a Lei, sappiamo che la prof.ssa Pombeni sapeva trasmettere molto di più.

Una domanda che talvolta ci poneva era: “Ma tu, cosa vuoi fare nella vita?” La domanda era semplice, ma ognuno di noi si accorgeva che formulare la risposta era alquanto complicato. Potremmo dire che questo fu il primo insegnamento che ricevemmo dalla Professoressa: in ogni scelta lavorativa che si compie l’importante è avere sempre presente la propria meta. Dopotutto gran parte dell’attività professionale della prof.ssa Pombeni potrebbe riassumersi in questo: aiutare e persone a chiarire e realizzare i propri obiettivi professionali.

L’importante è avere un obiettivo chiaro, e allora tutto, o quasi, diventa possibile, perché non c’è sfida che non valga la pena di affrontare con determinazione.

Anche se la determinazione sembra una cosa non facile da insegnare, lavorando al suo fianco abbiamo imparato a non demordere davanti alle difficoltà.

“Là fuori tutti sono pronti a dirti cosa è meglio per te, quindi non tacere mai se hai qualcosa che ti sta a cuore realizzare”. Per questo incitamento va a lei tutto il nostro ringraziamento.

Riflessioni sull’orientamento

Sono passati dieci anni dalla scomparsa di Maria Luisa Pombeni, docente dell’allora Facoltà di Psicologia dell’Università di Bologna e direttrice di Cetrans, una struttura nata su suo impulso per mettere a punto modelli di intervento innovativi, formare gli operatori e fornire consulenza scientifica a progetti promossi da istituzioni pubbliche nel campo dell’orientamento.

In questi dieci anni abbiamo riflettuto più volte sulle tracce che ci ha lasciato, su piste di riflessione e operative. La sua capacità di precorrere i tempi, di immaginare soluzioni è rimasta dentro tutti noi, come ricordo in tanti momenti di lavoro.

Ed è stato davvero difficile mettere in fila alcuni pensieri che abbiamo condiviso fra alcuni colleghi.

Va detto che il nostro era uno dei tanti gruppi di lavoro che ha avuto Maria Luisa Pombeni come mentore, coordinatore, capo, collega. Ed è in questo spirito, ceteris paribus, che dal suo ricordo è nata questa nostra riflessione.

Una riflessione che cerca di collocare nel contesto odierno il suo insegnamento, recuperando ricordi sia sulle sue intuizioni da un punto di vista teorico metodologico, ovvero come e dove inquadrare alcuni temi legati all’orientamento [non più!] scolastico e professionale, sia su alcuni momenti di vita lavorativa, avendola avuta come guida, come “capo”, a volte come collega. Maria Luisa Pombeni era una persona che già ricopriva, e si apprestava a ricoprire, incarichi più che rilevanti, ma conservava un’incredibile disponibilità nelle relazioni con le persone. La natura delle relazioni lavorative era senza dubbio “maieutica”, un continuo apprendistato in una bottega che si occupava (e l’orientamento si occupa di questo) di fenomeni mutevoli come il rapporto fra istruzione, formazione, scelte individuali, transizioni al lavoro, politiche dei servizi. Una generosità personale anche nel considerare con autentica accettazione le possibilità e i limiti delle persone, e attraverso l’orientamento offrire una chiave di lettura possibile per percorsi scolastici e professionali a volte difficili, non lineari, frammentati e spesso dolorosi.

Di noi (e di sé) usava dire con ironia “… chi si occupa di orientamento forse ripara un po’ la sua ferita, quella di non essere stato orientato!”.

E lo diceva con profondo rispetto e riconoscenza anche forse a proposito dei tanti dubbi e fatiche legate all’atto di scegliere per sé, o nel supportare altri nella scelta e nel monitoraggio di un percorso di formazione o una scelta lavorativa.

Sapeva bene che la scelta in sé è scandalosa, la sua formazione culturale profondamente umanista le faceva percepire il disagio autentico degli indecisi, delle persone in difficoltà.

Il suo sguardo si volgeva spesso ad azioni dedicate a quelle persone che definiremmo oggi ad occupabilità complessa, le persone che per dirla con una sua definizione, andavano accompagnate a restringere il loro piano di azione su scelte possibili, sostenibili, coerenti.

Ed ecco perché la sua attenzione si rivolgeva anche agli operatori, nei tanti progetti promossi direttamente o sostenuti come responsabile scientifico, che mettevano al centro la costruzione di una funzione all’interno di differenti professionalità: non era un dibattito sterile sul riconoscimento della figura dell’operatore a muovere il suo interesse, ma un sincero ed efficace sostegno alle tante professionalità che pur non essendo “dedicate” si trovano a ricoprire la funzione di “orientatore”.

Numerosi strumenti per enti e istituzioni portano la sua impronta: la prima collana “Akiropita”, attività di orientamento ad uso delle scuole medie e superiori; l’ispirazione per il pionieristico “Quadrifoglio”, strumento per la valutazione dell’occupabilità in uso a quelli che da lì a poco sarebbero diventati gli attuali Centri per l’impiego della provincia di Bologna; i progetti di respiro Europeo più recenti come GIRC e GIANT, e risorse on line come Idee e Strumenti per orientare, banca dati della Regione FVG al servizio degli operatori, frutto di una conoscenza più che decennale con i vari team e servizi della regione FVG1.

Si diceva che ricordiamo lavorare con la prof.ssa Pombeni come un apprendistato a volte duro, ma irrinunciabile in un settore come quello dell’orientamento che ha a che fare con i mutamenti socioeconomici, con gli indirizzi di politica generale, con la sensibilità delle persone e della comunità.

Ci siamo detti che l’apprendistato continua, continua alla luce di ciò che è l’eredità di Maria Luisa Pombeni, che ci sembra sintetizzabile in tre punti:

  1. la ricerca della sostenibilità degli interventi in relazione ai contesti;
  2. l’attenzione alle persone coinvolte nei processi, ovvero sia nei confronti di quanti si occupano di orientamento come professional, sia per i destinatari delle azioni, e in particolare i più deboli;
  3. il rigore metodologico nel costruire azioni, percorsi, progetti.

Sulle tracce di questa eredità proveremo a dare alcune risposte a domande ancora aperte, almeno per noi che ancora crediamo di dover spendere una parte della nostra attività professionale per l’orientamento: il rapporto fra scuola e funzione orientativa, la valenza orientativa legata alle scelte lavorative, le professionalità di coloro che si occupano di orientamento.

Il ruolo dell’orientamento a scuola

Ci sono molte ragioni per attribuire all’orientamento, sia come pratica che come disciplina, un ruolo strategico nel panorama del sistema educativo. Di fatto, però, se con curiosità ci accingessimo a leggere uno degli ultimi documenti che ha investito la scuola, “la buona scuola” ovvero la legge 13 luglio 2015, n. 107 ci accorgeremmo che la parola “orientamento”, da sempre ambito di intervento nella scuola da parte di professionisti e operatori, viene nominata cinque volte (solo tre nel documento di sintesi). Per consolarci, la parola “psicologo” riferita agli studenti o ad attività nella scuola non è mai nominata nel testo così come “benessere” o “psicologico”.

Non c’è “disagio” se non riferito al diritto allo studio, mentre c’è “disabilità”, c’è “bullismo”, c’è “dispersione”, ma sempre nominati poche volte e comunque non a proposito di come o con quali figure e competenze, nello specifico, bisognerebbe far fronte a questi indicatori di disagio, ma solo come richiamo ad una tematica degna di attenzione. Certo, è un documento di riordino del sistema scolastico, ma in senso esplicito ed operativo non c’è traccia di orientamento.

La recente intesa Stato-Regioni sull’orientamento, ovvero la nota MIUR 19 Febbraio 2014, ”Trasmissione delle Linee guida nazionali per l’orientamento permanente” indica con chiarezza che l’orientamento, così come da definizione corrente, è un processo continuo che dovrebbe mettere i cittadini nelle condizioni migliori per saper identificare le proprie capacità, le proprie competenze e i propri interessi, prendere decisioni in materia di istruzione, formazione e occupazione; gestire i propri percorsi personali di vita nelle attività di istruzione e formazione, nel mondo professionale e in qualsiasi altro ambiente in cui è possibile acquisire e/o sfruttare tali capacità e competenze.

Come spesso accade, non è definito chiaramente, in relazione al contesto scolastico, come tutto ciò debba essere attuato: con quali risorse, in che tempi, con quali professionalità. Certo, c’è una letteratura significativa relativa a buone pratiche, ma ciò non equivale, per una istituzione come la scuola, a rendere tutto ciò “praticabile” dal giorno dopo.

La scuola, si sa, è una organizzazione a legame debole, come ricorda Mark Granovetter, e dotata di un certo livello di complessità. Non basta “sommare” i suoi elementi per poter costruire l’organizzazione-scuola, e in questa complessità la scuola è chiamata spesso (sempre più spesso sul banco degli imputati) a rispondere alle esigenze di una società caratterizzata da una complessità crescente dei saperi e dall’imprevedibilità dei percorsi professionali. La scuola, come ci suggeriva Tullio De Mauro, è un’organizzazione complessa, che ha a che fare con le relazioni e i significati che si scambiano le sue componenti essenziali: quella di chi sta studiando, quella di 13 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 53 chi insegna, quella di chi si preoccupa di migliorare le interazioni tra le prime due. Oltre che formazione, la scuola è chiamata spesso a rispondere a bisogni sia cognitivi sia affettivo-emozionali.

Ci si ricorda che i nostri figli vanno a scuola solo quando il cosiddetto bullismo, o la disoccupazione o il mismatch fra diplomati e mercato del lavoro mettono la scuola al centro di ciò che non è o ciò che dovrebbe essere. E allora si richiede, spesso, l’intervento “specialistico” che mira a sanare una deviazione dalla norma. Ma la scuola è inclusione, non esclusione, è forse l’unico terreno dove le persone escluse possono trovare cittadinanza, dove le deviazioni dalla norma sono anche fonte di riflessione e messa in discussione dell’intero sistema. La scuola produce significati, accoglie, forma, modella, include ed esclude. La scuola è un pezzo del e nel sistema comunitario, come direbbe Bronfenbrenner: la scuola “ecologicamente” entra in relazione con altri sistemi, all’interno di un sistema più grande.

In senso generale, la scuola ha la responsabilità formale di rendere disponibili all’individuo le risorse utili a soddisfare i propri bisogni e i propri desideri connessi all’esistenza (o almeno ad una fetta dell’esistenza), questi ultimi intesi come desideri diretti verso un oggetto e motivanti l’azione.

Ed ecco che allora l’orientamento inteso come la capacità di offrire agli studenti delle occasioni di consapevolezza, di dare significato ai passaggi formativi, di tenere assieme i propri interessi e le proprie preferenze e confrontarle con le possibilità offerte da un mondo che cambia, ha un ruolo strategico nella formazione degli adulti di domani.

In particolare, il bisogno di sviluppo del sé efficace è centrale nell’età evolutiva, alla base della formazione dell’autonomia personale: tale bisogno riguarda la necessità di sentirsi capaci di agire in modo efficace per raggiungere i propri obiettivi e rispondere alle richieste del contesto al fine di sviluppare un’identità positiva. Lo sviluppo del sé efficace richiede anche la percezione di continuità della propria esperienza passata, presente e futura. In altre parole, lo sviluppo del sé coinvolge il processo di orientamento inteso come capacità di governo della propria storia formativa e lavorativa ed, in particolare, dei momenti di cambiamento di ruolo e di responsabilità che comportano la riorganizzazione del proprio progetto personale. Nella realtà attuale tale capacità appare fortemente collegata all’adattabilità personale.

Tale capacità, inoltre, si forma attraverso esperienze che hanno a che fare con il senso di autoefficacia, nutrito da esperienze di padronanza, e la capacità di cercare e trovare una motivazione, di autoregolarsi, in maniera puntuale e specifica, in relazione ad un compito, ad un traguardo, ad un obiettivo.

Lo sviluppo di queste competenze è un processo intenzionale, che va accompagnato, dotato di significato, reso operativo.

Il rischio è, in questo momento, che l’orientamento si appiattisca sulla richiesta di formare i lavoratori di domani.

Se l’orientamento debba privilegiare la felicità individuale o l’interesse collettivo è un dilemma vecchio quanto la disciplina stessa. Vista la rapidità con cui evolve il mondo del lavoro, l’ipotesi di basare l’orientamento sulle esigenze del mercato appare più come un tentativo di esercitare l’illusione di controllo che non una pista realmente percorribile. Certo si può pensare che dal punto di vista delle competenze strettamente tecniche, avere approfondito ad esempio la conoscenza dell’informatica dia un vantaggio competitivo nell’attuale mondo del lavoro, ma anche volendo privilegiare il presunto interesse comune rispetto alla prospettiva individuale occorre ricordare che la competenza professionale si basa su un set più ampio di attributi rispetto alle mere conoscenze tecniche. Altrimenti detto, avere appreso delle nozioni di informatica non garantisce che la persona saprà in futuro contribuire fattivamente al progresso tecnologico della società. Tornando dunque alla domanda riguardo all’orientamento alla scelta, come già indicato dallo psicologo americano Mark Savickas, occorre probabilmente che l’orientamento in futuro si dedichi più al “come” che al “cosa”. L’orientamento a scuola raggiunge la sua massima utilità quando è interpretato in chiave educativa, come occasione per sviluppare competenze che aumentano l’autonomia individuale nel fare scelte esistenziali. Dato che le nuove generazioni cambieranno numerosi lavori nell’arco della loro vita, è soprattutto importante sviluppare sin dalle scelte scolastiche la capacità critica di analizzare alternative, quella di fare piani multipli ed essere pronti ad adattare le proprie traiettorie alle mutevoli condizioni del contesto senza percepire ciò come un fallimento. Il termine “scelta” forse richiama troppo ad un atto compiuto definitivamente, tra l’altro selezionando un’alternativa da un ventaglio di piste precostituite. Oggi la sfida dell’orientamento a scuola è educare ad immaginarsi come co-autori di un futuro che ancora non esiste, ma che le proprie decisioni contribuiranno a definire.

L’alternanza scuola-lavoro, che dovrebbe accogliere parte di queste necessità formative legate all’orientamento è spesso “forzata” sulla simulazione di un mondo adulto, e nel confrontarsi con un potenziale ruolo lavorativo in termini di conoscenze e abilità tecnico professionali.

Il rischio è di far diventare le esperienze di alternanza una parentesi in un continuum che è fatto in prevalenza di studio e acquisizione di conoscenze e capacità, privandole del loro valore aggiunto formativo che è l’integrazione dei saperi.

Il mondo e di conseguenza il lavoro non è più legato alle vocazioni, ai profili, alle attitudini. Ai nostri tempi diventa dolorosamente una somma di inettitudini, di rinunce per poter raggiungere un minimo di realizzazione professionale parleremmo forse di flessibilità erosiva per descrivere il comportamento di molti che non associano all’occupazione lavorativa un progetto coerente di vita, o quantomeno accettabile. Sembra quasi impossibile accompagnare le persone alla costruzione di un progetto professionale in un mondo così apparentemente povero di risorse.

In una sorta di intervista impossibile proviamo ad immaginare la risposta a tutto ciò da parte di Maria Luisa Pombeni: avendo come parola chiave “integrazione”, l’orientamento come sguardo, approccio e prospettiva ha la capacità di porre rimedio a ciò; esso ha quella capacità integrativa delle esperienze dei giovani nel contesto scolastico e formativo necessarie e utili per poter progettare un percorso che sia soprattutto soddisfacente per sé.

Lavoro e orientamento

Non c’è manuale di riferimento per l’orientamento scritto negli ultimi 10 anni che non parta dalla constatazione che il concetto di carriera sia profondamente cambiato nell’attuale mercato del lavoro. Oggi infatti non è più pensabile riferirsi alla carriera come ad un percorso lineare la cui traiettoria si profila negli anni dell’istruzione e si consolida nella progressione verticale del ruolo lavorativo all’interno di un’organizzazione, bensì occorre comprendere con questo termine percorsi multiformi nei quali si intrecciano esperienze lavorative diversificate e bisogni ricorsivi di formazione riqualificazione professionale. In questo scenario la letteratura psicologica identifica due fattori chiave per comprendere il processo di orientamento: l’individuo ed il tempo. Data l’instabilità delle posizioni lavorative e la temporaneità dei legami con l’organizzazione, si ritiene che le traiettorie professionali siano definite principalmente dalla persona con la sua capacità di career management, ovvero la capacità di costruire una carriera, gestendo intenzionalmente le interazioni tra lavoro, formazione ed altri aspetti della vita lungo tutta la propria esistenza. Questa capacità comprende sia una componente più riflessiva, che riguarda l’esplorazione di sé, la consapevolezza del significato dell’azione e l’anticipazione/progettazione del futuro, sia una componente comportamentale, che si riferisce alla capacità di interagire con l’ambiente in modo da ampliare il proprio ventaglio di opportunità. Impossibile non associare questa descrizione a quella di competenze orientative, declinate in tre macrocategorie:

  1. competenze orientative di base (ad esempio, capacità di attivazione, problem solving, di perseveranza verso gli obiettivi…), le quali rappresentano un pre-requisito per maturare l’atteggiamento attivo e responsabile verso i compiti orientativi che si affrontano;
  2. competenze orientative di monitoraggio che consistono nella capacità di mantenere un livello di consapevolezza critica sulle esperienze in corso, valutando in maniera preventiva alcuni fattori di rischio;
  3. competenze di sviluppo che coinvolgono la capacità di anticipare il futuro, darsi degli obiettivi ed elaborare un progetto professionale.

L’aspetto anticipatore del contributo di Maria Luisa Pombeni sta soprattutto nel fatto di avere accostato al concetto di orientamento quello di competenza. La competenza riguarda un set di conoscenze, capacità, attributi personali associati al successo in una prestazione, è disposizione all’azione, e dunque parlare di competenze orientative significa assumere un approccio dinamico all’orientamento, che si focalizza sulle modalità con cui la persona gestisce il processo di costruzione del proprio percorso formativo e professionale, piuttosto che privilegiare l’attenzione diagnostica verso i predittori delle scelte e del successo, intesi come fattori di natura individuale (ad esempio, attitudini, interessi, valori) i quali mantengono una certa stabilità nel tempo e non sono facilmente modificabili, e come fattori contestuali (vincoli ed opportunità) che limitano l’autodeterminazione dello sviluppo vocazionale. Concentrarsi sulla capacità individuale di affrontare il divenire quotidiano della propria esperienza non significa decontestualizzare il processo di orientamento, anzi, come già detto, la competenza richiede di per sé un contesto per svilupparsi ed esprimersi, allo stesso modo la capacità di gestire il proprio processo di orientamento si manifesterà sempre rispetto a situazioni specifiche e sarà influenzata dal contesto di riferimento (appartenenze sociali e culturali, esperienze pregresse). Il significato soggettivo e al tempo stesso socialmente determinato della carriera, la “sostenibilità” delle scelte e dei progetti lavorativi rispetto alle risorse a disposizione, sono tutti temi di grande attualità, già identificati come centrali nella riflessione di Maria Luisa Pombeni, la quale descrive sì l’individuo come protagonista del processo di orientamento, ma lo colloca all’interno di una scenario sociale di riferimento, che contribuisce a dare senso all’azione, la sostiene o la ostacola fornendo risorse o ponendo vincoli. Nella ricerca di un nuovo costrutto (Adattabilità? Occupabilità? Sostenibilità?) capace di descrivere come è possibile orientarsi davanti alla complessità ed incertezza del mondo moderno, è forse sfuggita la soluzione più ovvia: bisogna essere competenti. Essere competenti significa infatti avere capitalizzato le proprie esperienze passate, traendone gli apprendimenti per affrontare le sfide presenti e future, che nella sostanza è ciò che serve per gestire efficacemente la propria carriera.

L’operatore di orientamento

In Italia, all’interno dei molteplici servizi pubblici e privati, sono diversi gli attori che a vario titolo svolgono attività che contribuiscono a sviluppare le competenze di auto-orientamento. È quindi bene operare una prima distinzione tra le figure professionali che, pur non avendo come propria mission l’orientamento, svolgono funzioni concorrenti all’attivazione del processo orientativo.

Infatti, la gamma (molto ampia e diversificata) di attività che sostengono la promozione dell’auto-orientamento di tutti i cittadini nelle diverse fasi di età e nelle diverse condizioni formative e lavorative viene realizzata, in Italia come nella maggior parte dei paesi europei, attraverso un doppio contributo: da un lato, profili professionali che non hanno una mission specifica e che erogano solo una funzione complementare all’attivazione del processo di auto-orientamento (ne sono un esempio i formatori, i tutor, gli operatori che si occupano della prima presa in carico degli utenti nei Centri per l’Impiego, gli addetti ai career service degli atenei, degli informagiovani, ecc.) e dall’altro lato, profili professionali dedicati finalizzati a sostenere la maturazione progettuale e i processi decisionali.

Oggi una riflessione sul tema delle professionalità nell’orientamento e delle competenze richieste deve quindi tener conto della specificità dell’azione erogata (come finalità, contenuti, metodologie) e del contesto di riferimento dell’intervento (ad esempio scuola, formazione professionale, centri per l’impiego, agenzie per il lavoro, servizi dedicati) ma anche del rapporto fra figure e funzioni.

Si evince quindi che pur operando questa suddivisione, le competenze che un orientatore deve possedere non sono facilmente definibili. Non si può non tener conto che in Italia le attività in questo ambito sono fortemente influenzate dal contesto sociale ed organizzativo che le eroga, piuttosto che dall’identità della figura professionale. In questo senso, sotto lo stesso termine sono raccolti professionisti che svolgono funzioni differenti, che hanno formazione differente e che non sono riconducibili ad un solo profilo professionale, ma piuttosto ad una configurazione professionale di aree di attività, come già osservava Sarchielli quasi 20 anni fa. La mission di una certa organizzazione e il tipo di bisogni specifici espressi dagli utenti che fanno riferimento a quel contesto influenzano sia l’attività professionale sia le competenze richieste dell’operatore. Quindi è abbastanza naturale aspettarsi che nel percorso di professionalizzazione ci si trovi davanti ad una grande diversificazione di richieste da parte del gruppo di risorse professionali che tende (genericamente, in assenza di riferimenti normativi e deontologici) ad identificarsi con la figura dell’“orientatore”.

Su questo tema, oggetto di molte discussioni, l’Isfol ha pubblicato, alcuni anni fa, una ricerca (a cura di Anna Grimaldi) che ha condotto, in collaborazione con altri Enti e con le Regioni, per approdare ad una proposta di profili professionali per l’orientamento. Per arrivare ad una definizione, seppur provvisoria e in divenire, si parte dal riconoscere quattro principali ambiti professionali, legati alle quattro funzioni caratteristiche dell’orientamento (l’informazione, l’accompagnamento e il counselling, rivolte all’intervento diretto con l’utenza, e una aggiuntiva di carattere gestionale). Individua inoltre quattro contesti organizzativi in cui opera l’orientamento (Scuola, Formazione Professionale, Università, Lavoro) e quattro macro-aree di competenza (area comunicativo relazionale, area di lettura del contesto e di progettazione dell’attività, area di consulenza e infine un’area trasversale riguardante competenze giuridiche, amministrative e informatiche), concepite in modo trasversale, che si declinano poi ulteriormente nell’ambito di ciascun profilo professionale.

A livello internazionale l’International Association for Educational and Vocational Guidance (IAEVG, l’associazione internazionale che raccoglie operatori, ricercatori e organizzazioni che si occupano di orientamento), ha individuato le 17 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 53 competenze indispensabili per operare nel campo dell’orientamento:

  • comportamento etico e condotta professionale;
  • supporto e guida nello sviluppo degli studi, della carriera e delle questioni personali dei clienti;
  • consapevolezza e comprensione delle differenze culturali dei clienti;
  • consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti;
  • capacità di progettare, implementare e valutare programmi di orientamento e di counselling;
  • familiarità con informazioni sull’educazione, la formazione, i trend occupazionali, il mercato del lavoro, le istanze sociali;
  • comunicazione efficace con i colleghi.

E ha definito anche dieci aree di competenze che i professionisti sono tenuti a possedere solo in parte, in base alla natura  specifica del loro ambito professionale:

  • Analisi e valutazione
  • Orientamento scolastico;
  • Sviluppo di carriera;
  • Counselling;
  • Gestione di informazioni;
  • Lavoro in team e coordinamento;
  • Ricerca e valutazione;
  • Gestione di programmi e servizi;
  • Costruzione di reti;

Ed è in questo framework che la capacità di Maria Luisa Pombeni era già stata in qualche modo “anticipatoria” di ciò che sarebbe accaduto e sta accadendo; con la creazione del CeTrans ad esempio rese operativa l’intuizione che l’orientamento andasse sostenuto su questi livelli: fornire assistenza ai decisori e ai sistemi, curare l’implementazione dei servizi, formare operatori competenti, produrre strumenti per l’orientamento a beneficio degli operatori.

Forse oggi avrebbe in mente un disegno differente, ma proviamo lo stesso a immaginare una sua risposta su questo tema: probabilmente sarebbe ancora stata differenziare i servizi, qualificare l’offerta e la risposta da parte degli operatori, rendere evidente tutto ciò ai decisori.

Gaetano Martorano
Psicologo, libero professionista

Luca Carugati
Psicologo, libero professionista

Rita Chiesa
Ricercatore, Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna

Andrea Severini
Psicologo, libero professionista

 

L’articolo è stato pubblicato nella rivista Quaderno di orientamento – numero 53 – secondo semestre 2018.

Tutti i numeri della rivista sono consultabili al seguente link

 

Bibliografia

  • Bronfenbrenner, U. (2002). Ecologia dello sviluppo umano. Bologna: Il Mulino.
  • Grimaldi, A. (a cura di) (2002). I professionisti dell’orientamento. Informazione, produzione di conoscenza e modelli culturali. Milano: Franco Angeli.
  • Guglielmi, D. e D’Angelo, M. G. (a cura di) (2011). Prospettive per l’orientamento. Studi ed esperienze in onore di Maria Luisa Pombeni. Roma: Carocci.
  • Pombeni, M.L. e Chiesa, R. (2009). Il gruppo nel processo di orientamento. Roma: Carocci.
  • Pombeni, M.L. e Vattovani, P. (2005). Centri dedicati per un sistema integrato di orientamento. Differenze per qualificare, Milano: Franco Angeli.
  • Sarchielli, G. (2007). Orientamento e formazione. Prossimità e discontinuità: spunti di riflessione. in Orientare l’Orientamento. Politiche azioni e strumenti per un sistema di qualità (453-470). Roma: ISFOL.
  • Savickas, M. L. (2012). Life design: A paradigm for career intervention 18 ORIENTAMENTO in the 21st century. Journal of Counseling and Development, 90, 13-19.
  • Sultana, R. G. (2011). Learning Career Management Skills in Europe: a Critical Review. Journal of Education and Work, 1 – 24

Note

  1. Piero Vattovani, nel numero 33 di questa rivista, ha ripercorso le tappe della collaborazione fra il servizio regionale e Maria Luisa Pombeni.

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