Nuovi significati delle parole per il futuro della scuola.
Un progetto corale ha individuato un “Alfabeto” della scuola di oggi che, in 26 definizioni, dona alle parole un significato diverso e più attuale per far fronte alla sfida del cambiamento.
Un vecchio adagio friulano, che affonda le sue radici nel tempo di Pitagora, recita: ogni siét agn si cambie gust – ogni sette anni si cambia gusto1 e questo ci dice che anche la saggezza popolare riconosce il cambiamento come caratteristica peculiare dell’esistenza umana.
Sicuramente il 2020 è stato un anno di trasformazioni, forzate e inaspettate, ma che hanno aperto nuovi modi, nuove visioni, nuove narrazioni nell’esistenza di ciascuno di noi.
Il cambiamento imposto dalla pandemia ha impattato duramente anche sulla scuola, sugli studenti, sui docenti che improvvisamente si sono ritrovati a dover modificare metodi, strategie, comunicazioni, relazioni per riuscire a portare a termine il compito educativo.
A partire dall’estate del 2020, grazie ad alcuni collaboratori, abbiamo pensato di approfittare delle innovazioni imposte per introdurre e stimolare nei protagonisti della vita scolastica una nuova modalità di vedere aspetti e caratteristiche della scuola che quotidianamente salgono ai nostri occhi ma che diamo per scontati, immutabili e statici come fino a questo momento parevano essere.
I collaboratori appartengono alle diverse “anime” della scuola: docenti di scuola primaria, secondaria di I e II grado e ITS; docenti e collaboratori di scuole “particolari”; studenti; orientatori e anche un dirigente scolastico.
Ciò che ha accomunato tutti è l’amore per i giovani e per l’istituzione Scuola che tanto in questi due anni travagliati ha resistito perché è e dovrà essere sempre di più un punto di riferimento per i giovani e la comunità.
Ecco, quindi, una prima lista, sicuramente non esaustiva, di parole elencate in ordine alfabetico che riguardano la vita scolastica e che si prestano a una rilettura e possono stimolare un nuovo, diverso modo di concepire, vivere ed apprezzare il duro lavoro di studenti, docenti e tutti quelli che quotidianamente mantengono vivo il desiderio di scoprire e apprendere dei ragazzi.
Le definizioni riportano modi di vedere, stimoli, vissuti, esperienze e pensieri delle persone che lavorano e vivono nella scuola, anche in contesti diversi e con modalità a volte “non convenzionali”; vogliono essere un pungolo per ripensare e far rivivere con entusiasmo quel magico momento in cui, varcando soglia dell’edificio scolastico, si entra nel mondo.
Tali definizioni sono state raccolte anche nella brochure “L’alfabeto della nuova scuola” edita dalla Regione Friuli Venezia Giulia e distribuita agli istituti scolastici e a chi ne fosse interessato2
Nuovi significati delle parole per il futuro della scuola
1 – Amicizia
Chi non ricorda quell’istante, nel quale un pollice pian piano si rovescia verso il basso e una voce astiosa proclama che un’amicizia è finita. Che l’alleanza con la tua persona è terminata. È un ricordo scolastico.
Si può ancora respirare l’asfissiante sensazione della bambina che a poco a poco vede allontanarsi le principesse, con i loro gioielli, i loro capelli nei nastrini, le loro parole.
Le principesse che prima ridevano con te di altre e ora ridono con altre di te. E poi ombre di modelle, attrici, ballerine che danzano attorno al tuo corpo che sembra non crescere. È un ricordo scolastico.
L’effervescenza dell’anima mentre si corre, si scappa o ci si nasconde assieme al complice di un “misfatto” che è anche tuo. Di un qualcosa che non si poteva fare ma in due si è fatto. Eccome se si è fatto. È un ricordo scolastico.
Ma se l’amicizia, in fin dei conti, è una questione di pollice in su o in giù…quei pollici dovranno essere delle persone.
Con le unghie, gli smalti, i tagli e tutto il resto. Altrimenti non ne sapremo creare il ricordo. Scuola… luogo inesauribile di temporanee o eterne amicizie…
Annarita Vuerich
IC “Roiano –Gretta” – Trieste
2 – Banco
Banco, incantevole armonia del disordine, vissuto di generazioni di studenti. Tu abiti la scuola ed i ricordi, molto più di tante nozioni che hai visto passare davanti. Con la tua efficienza abitativa, per primo hai dato un piccolo spazio autonomo a tutti i ragazzi che hai incontrato. Ne hai accompagnato la crescita e poi li hai lasciati andare, come un buon padre di famiglia. Non perdere la tua identità. Sei unico, sei testimone delle storie, delle alleanze e degli sguardi di tanti studenti. E soprattutto sai stare fermo, mentre tutto intorno a te si muove. Resisti.
Maurizio Mascarin
Area Giovani – CRO di Aviano
3 – Creatività
La creatività è un ponte che parte dalle competenze, bagaglio di abilità, studi, capacità personali che si sviluppano in ambito scolastico e, più in generale, durante tutta la vita, e raggiunge un obiettivo, che possiamo chiamare anche risultato, elaborato, opera artistica.
Come ogni ponte permette di superare degli ostacoli: è la ricerca della soluzione e risponde a una necessità. Come ogni ponte collega: ciò che si è appreso in termini di conoscenze ed esperienze passate con proposte nuove, realizzazioni ed espressioni inedite.
Come ogni ponte rende possibile la comunicazione, il trasferimento di un’idea, la trasmissione di uno stato d’animo.
Attivare la creatività significa metaforicamente costruire un legame tra i nostri pensieri e il mondo esterno, è dare forma concreta a una visione sollecitata spesso da esigenze esterne. Esercitarla è importante in ogni campo e in ogni situazione: conduce a un atteggiamento costruttivo che tende a migliorare una situazione. Per questo è bene stimolarla in ogni ambiente, invitando a uscire dagli schemi, a percorrere strade inesplorate, a scegliere altri punti di vista. Spesso si ritiene che sia prerogativa dell’ambito artistico, ma non esiste creatività fine a se stessa. Un insieme di tessere non fa un mosaico, nonostante un mosaico sia un insieme di tessere: saranno le scelte formali ed espressive dettate dalla creatività, basate sulle competenze e finalizzate a rappresentare un soggetto, a dare valore a quel mosaico.
Scuola Mosaicisti del Friuli
Spilimbergo
4- Distanza
Hai trafitto la scuola rischiando di farla fallire, svuotandola dei suoi attori e spaventando a morte registi e spettatori davanti al palcoscenico vuoto. Ormai, però, ti conosciamo e abbiamo capito che sei solo una proporzione: aumenta la distanza, non diminuisce la forza che ci lega.
Non sei solo lontananza perché nella distanza che aumenta ti puoi fare vicinanza con qualcos’altro, con qualcun altro. Se abiti il nostro spazio, non hai potere assoluto sul nostro cuore e sulla nostra mente, non te lo concediamo. Il tuo silenzio si fa voce che narra nella nostra voce, il tuo vuoto si fa ascolto e gesto, la tua indifferenza si fa cura di noi stessi e degli altri, si fa ricerca.Ogni volta che cerchiamo, che immaginiamo, che troviamo un nuovo modo per ritrovarci, il dialogo ci riannoda e ci dà nuovi spazi per rappresentarci e per definirci.
Paola Fabbro
Scuola in Ospedale – Area Giovani – CRO di Aviano
5 – Educazione fisica
Una volta, le due ore dedicate al corpo si chiamavano “Ginnastica”, adesso Scienze Motorie e Sportive.
Il nostro corpo di mammifero che cammina eretto è antico di circa 2,8 milioni di anni.
Gli uomini primitivi correvano veloci, saltavano in alto e lanciavano lontano, per cacciare, difendersi e sopravvivere, gesti benefici per il cervello e desiderati dal corpo.
Fino a pochi anni fa, bello era correre veloci lungo un rettilineo improvvisato, faticare in un percorso infangato, lanciare lontano una specie di palla inventata, saltare un fosso per riuscire a non caderci dentro.
E poi via a scuola, per esprimere, durante le ore di Ginnastica, le capacità sviluppate con piacere durante le fasi di gioco.
Ora i ragazzi si allenano a casa con la wii, passeggiano poco, usano di rado la bicicletta e sono accompagnati in auto fino a scuola. Il corpo è un oggetto da esibire, quasi fosse altro da sé, mentre lo sforzo fisico, la resistenza alla fatica e il superamento di fallimenti ed errori non sono considerati elementi di valore maieutico nell’educazione.
Per un reale benessere, per essere cittadini del mondo, avremmo bisogno invece di riappropriarci degli spazi verdi e dei parchi, luogo di socializzazione e di gioco, di confronto spontaneo con gli altri, nel rispetto delle differenze e delle regole.
Movimento: un’ora più volte durante la settimana, dalla prima elementare all’ultimo anno delle superiori. E fino a quando avremo voglia di stare in salute, unendo corpo e anima.
Maurizio Bressan
Liceo “Leopardi-Majorana” – Pordenone
6 – Felicità
È una parola antica, la usavano i latini e prima di loro i filosofi greci: li affascinava constatare che nonostante le vite delle persone fossero molto diverse, tutti cercavano in fondo la stessa cosa, la possibilità di “vivere bene stabilmente”. Era questo il senso della parola “eudaimonia”, che traduciamo oggi con “vita buona” e che gli autori latini traducevano con “felicitas”.
Ma qual è il segreto della felicità?
Per Aristotele, che amava trarre le sue conclusioni dall’osservazione delle vicende umane, il segreto consisteva nel ricercare e conservare un equilibrio tra quel che si costruisce e che può durare nel tempo e quel che non si può far altro che consumare e che dunque dura poco.
La vita buona ha bisogno di cose “consumabili”: beni, occasioni di svago, oggetti tecnologici… Ma ha bisogno anche e soprattutto di un patrimonio che possa rimanere dentro di noi: le conoscenze, le abilità, il senso civico, la capacità di amicizia, di giustizia, di solidarietà… Procurarsi questo patrimonio, cioè formarsi ed esercitarsi, crescere in saggezza, era il segreto di quanti riuscivano – e riescono – a vivere bene anche con poche cose consumabili a disposizione.
È un “segreto” che i filosofi e le grandi tradizioni di sapienza hanno svelato e che ci consegnano con una domanda: non trovate che ancora oggi, dopo migliaia di anni, il succo di una vita piena stia proprio qui?
Giovanni Grandi
Università degli Studi di Trieste
7 – Giustizia
La “giustizia”, prima di essere un rimedio ai torti, era per gli antichi una virtù personale: era la capacità di accorgersi del male e di reagire. In che modo però? Quello che tutti i pensatori notavano è che solitamente quando qualcuno subisce un torto è incline a vendicarlo, a fare cioè del male al proprio aggressore o concorrente.
L’idea che la giustizia fosse una sorta di “bilancia” consentiva di porre un freno a questa inclinazione alla violenza: sul “piatto” di colui che ha fatto del male doveva essere caricata una quantità di male proporzionale, cioè non un grammo di più. Così, nella storia e con l’aiuto dell’idea della bilancia, si è iniziato a misurare il male per poterlo “ripagare”: lo si misura in denaro (le sanzioni a fronte delle trasgressioni, i risarcimenti a fronte dei danni) o lo si misura in tempo (gli anni di carcere per i delitti commessi). Fare giustizia significa allora restituire a ciascuno quel che gli spetta: a chi ha fatto del male va restituito del male, purché in modo misurato, in modo “bilanciato”. Fin dall’antichità però c’è chi ha fatto notare che questo modo di fare giustizia porta con sé un inganno: far tornare “in pari” la bilancia, dopo aver inflitto del male agli offensori, non significa aver rimediato al male. Significa averlo raddoppiato. Togliere la vita e chi ne ha tolta una, è togliere due vite, non ritrovare quella perduta. Per primo il filosofo Platone ha allora avvertito l’umanità: la vera virtù della giustizia consiste nell’accorgersi del male e certamente nel reagire, ma facendo tutto il possibile per ripristinare il bene che è venuto meno, senza fare del male. È facile, dice Platone, fare del bene a chi ci fa del bene. Ed è altrettanto facile fare del male a chi ci fa del male. Ma conservare la nostra giustizia, cioè la capacità di fare ciò che è buono, anche dopo aver subìto del male, questo è davvero impegnativo e rivoluzionario. È rivoluzionario perché questo significa interrompere la catena del male e iniziare a “riparare” il mondo, la vita, le relazioni. Si tratta di una rivoluzione possibile, che oggi è riconosciuta nella moderna prospettiva della “Giustizia riparativa” (Restorative Justice), a cui si ispirano molte riforme nel mondo della giustizia penale e dell’educazione. Ma è una rivoluzione che, come insegnavano gli antichi, inizia nell’anima di ciascuno: ecco perché la giustizia, prima di essere un “fare”, è una virtù, una capacità da coltivare e rinforzare in se stessi.
Giovanni Grandi
Università degli Studi di Trieste
8 – Homework
HOMEWORK, parola subìta a seconda del senso del dovere di ciascuno, raramente apprezzata. Separiamo le due parti di questa parola: HOME, la casa, proprio il cuore della casa, viva, intensa e privata; WORK il lavoro, diritto, necessità, fatica ma anche realizzazione della persona. La casa evoca tante cose, che di solito non riguardano il lavoro. Anche il lavoro spalanca un mondo, e generalmente è lontano da casa, almeno fino alla pandemia. A volte è la casa ad essere faticosa, piccola, soffocante, troppo piena in certi periodi, altre volte è il lavoro che è pesante, lontano dalle aspirazioni, oppure non c’è. Torniamo ad unire le due parti: esiste un valore aggiunto? Se pensiamo alla MIA casa e al MIO lavoro, nel senso più nostro che possiamo immaginare potrebbero diventare i MIEI compiti a casa, qualcosa che riguarda proprio me. Se diventano MIEI, la sensazione di “uffa, stress, devo, non ho voglia” diminuisce e ognuno decide come e che cosa farne. I compiti a casa vengono dati e vengono, non sempre, fatti; significa che ci sono due protagonisti, ed entrambi devono concepirli con la stessa funzione. Quindi diamo un’opportunità agli homework e diamo un nuovo significato: occasione.
Patrizia Piani
Servizio ricerca, apprendimento permanente e Fondo sociale europeo Regione Autonoma FVG
9 – ICT
Un’offerta di apertura al mondo, un invito alla scoperta e alla consapevolezza delle sue diversità, ovunque.
Information and Communication Technology: strumenti e tecnologie per la comunicazione telematica, software e hardware che consentono di elaborare e veicolare l’informazione alle persone che ne usufruiscono e ne alimentano l’esistenza.
Le ICT hanno aperto alla digitalizzazione a livello mondiale. Tre lettere, un acronimo che rappresenta un infinito mondo tecnologico, che dà la possibilità alle persone di entrare e rimanere in contatto anche a migliaia di chilometri di distanza.
Gruppo FEX (Frontend &User Experience)
ITS Kennedy – Pordenone
10 – Joker
Buffone, colui che, specialmente in epoca medioevale, sollevava gli animi dei signori per mezzo di burle.
Oggi, dove l’uomo gira con in tasca un Lunapark, a burlarsi della vita e ad insegnarci come farlo sono rimasti i giovani. Cuccioli più o meno grandi che non hanno ancora perso la capacità di giocare.
Quella maturità suprema che è maneggiare la realtà senza privarla di significato e concretezza, quel rovesciare per veder cosa c’è dietro, quello smarcarsi che permette alla fantasia di riproporre le cose fino all’eternità.
L’emozione inaspettata della maestra, dell’autorità, la saggezza dentro alla frase di un bambino. La risposta che spiazza, il gesto inaspettato, un semplice disegno. Tutte quelle volte insomma, dove accade l’inatteso, il non prestabilito. I momenti nei quali il demone delle persone emerge, libero, rutilante.
E non importa se ciò che nasce sia oscuro, malvagio, limpido o sgargiante. Non possiamo privarci di quell’ulteriore sensazione, perché siamo qui per vivere. Sono i giovani i Jokers, coloro che possono e devono permettersi il joke – lo scherzo.
Annarita Vuerich
IC “Roiano –Gretta” – Trieste
11 – Key Competence
L’Unione Europea ha individuato otto Competenze Chiave che permettono di acquisire capacità fondamentali per il successo degli studenti ovunque saranno chiamati ad agire: sul lavoro, nella società, nella vita. Le otto Competenze Chiave sono:
- Comunicazione nella lingua madre
- Comunicazione in lingua straniera
- Competenza matematica e competenze di base in campo scientifico e tecnologico
- Competenza digitale
- Imparare a imparare
- Competenze sociali e civiche
- Senso di iniziativa e imprenditorialità
- Consapevolezza ed espressione culturale.
Come può la scuola costruire i saperi necessari agli studenti per conseguire, in maniera originale, le competenze che li aiuteranno a gestire il cambiamento e l’incertezza del futuro?
La scuola dei futuri già presenti si pone come una piattaforma al centro di un “ecosistema di educazione all’imprenditorialità” che cura la scelta dei saperi, per creare un ambiente di apprendimento che stimoli gli studenti, attraverso nuove modalità creative di insegnare e apprendere.
L’ecosistema scuola assume una configurazione umanistica e scientifica, dove poter “danzare” con le discipline e le tecnologie attraverso una contaminazione dei saperi creando tante connessioni in grado di avvicinare gli estremi: i docenti e gli studenti. Per trasformare i dati in scenari di vita possibili, la scuola seleziona i contenuti, dà rilevanza alle tematiche cognitive, sperimenta la creatività attraverso l’apprendimento collaborativo, le tecniche creative, il problem solving. Network e connessioni rappresentano le parole strategiche per lo sviluppo delle Key competence in un ecosistema educativo e imprenditoriale che travalichi i confini organizzativi scolastici.
La narrazione del cambiamento e della costruzione dei futuri possibili si costruiscono attraverso gli strumenti che le Key competence definiscono senza perdere mai di vista che il successo dell’istruzione si fonda sull’identità, il coinvolgimento e lo scopo. Si tratta di costruire curiosità, mobilitare le nostre risorse cognitive, sociali ed emotive affinché gli studenti possano imparare ad aspirare i futuri desiderabili gestendo l’incertezza del futuro presente.
Giuliana Silvestri
IC “R. Levi Montalcini” – Fontanafredda
12 – Lavagna
il ricordo è un gessetto bianco che scivola e a volte stride su una lavagna nera, lasciando tratti statici, segni delle conoscenze di chi educa. Ora vorrei una lavagna trasparente, che permetta di vedere oltre il suo fondale, di andare verso gli altri, di scrivere dentro e con il mondo nel quale viviamo. Una lavagna sulla quale le parole possano sentirsi al sicuro, ed esprimersi, perché parte di chi educa e di chi ascolta.
Maurizio Mascarin
Area Giovani – CRO di Aviano
13 – Maschera
In reparto non suona la campanella, a scuola sì.Entro e ti sorrido. So chi sono e so chi sei, io la tua insegnante, tu il mio studente. Due Zorro senza maschera e senza spada, ma pronti a duellare. Vorrei incuriosirti sempre, sorprenderti spesso, affiancarti e poi lasciarti andare, rincorrerti e ritrovarti, fermarti mai. So che vuoi sorprendermi, spiazzarmi, sfidarmi forse a capirci, certo a scoprirci. Tra di noi i punti di domanda non ci interrogano e non ci giudicano, ma ci ascoltano e ci raccontano … Non abbiamo bisogno di nasconderci, di fingere, di impressionarci: cerchiamo semplicità e verità perché la realtà ci impressiona già di suo. Insieme, però, siamo in grado di essere scuola. Insieme ci inventiamo la scuola e insieme impariamo, di volta in volta, che la scuola è un viaggio, un’esplorazione ad occhi aperti, e che il rischio non è quello di deluderci, ma quello di non provarci. (La mascherina? Beh, quella la conosciamo da sempre e la usiamo quando ci dicono di usarla … ché non è quello il problema …)
Paola Fabbro
Scuola in Ospedale – Area Giovani – CRO di Aviano
14 – Numeri
Siamo tutti diventati numeri, percentuali, statistiche. La conta delle vittime, dei contagi, dei tamponi, le percentuali degli alunni in presenza, gli orari del coprifuoco. I numeri hanno condizionato e ancora stanno condizionando la nostra esistenza e la nostra vita scolastica, gli esami di maturità, i voti degli scrutini. Contiamo gli studenti che non rispondono all’appello, in tutti i possibili significati del termine. Ma non è matematica, non è aritmetica. Non è il compito che la scuola dovrebbe svolgere. Con i nostri numeri, i nostri conti, studenti e docenti abbiamo colmato divari, riempito lacune, sostenuto connessioni impossibili, puntellato un sistema carente.
La nostra è una scuola con lingua d’insegnamento slovena, da noi i numeri hanno sempre avuto un diverso, doppio significato. Ci contano, per sapere quanti siamo, se ci siamo ancora, se anche noi, come la scuola in generale, resistiamo nonostante tutto. Un’eredità che vorremmo rimanesse dopo questo periodo difficilissimo è che i numeri, quando sono persone, hanno un peso specifico diverso. Come la scuola, che dovrebbe contare molto di più.
Liceo classico “F. Prešeren”
Trieste
15 – Orientamento
Nella mia mente vedo la méta
Nei miei pensieri costruisco la strada
Nel mio cuore raccolgo le emozioni e le incitazioni dei miei concittadini
Le mie braccia sostengono la forza della determinazione
Le mie mani utilizzano le strategie per la riuscita
Le mie gambe mi conducono nella direzione scelta.
I miei piedi mi aiutano a superare gli ostacoli e sostenere la fatica
Tutto il mio corpo si proietta nel divenire di me stesso seguendo il progetto che si concretizza nei giorni che verranno e contribuisce alla realizzazione del mio sogno.
Antonella Santin
Servizio ricerca, apprendimento permanente e Fondo sociale europeo – Regione Autonoma FVG
16 – Parola
Leggere
Una cella di 1,80 per 1,90, senza finestre, con un soffitto più basso della sua altezza: lì Alexandros Panagulis, già incarcerato e torturato, trascorse tre anni e mezzo per non rinunciare ai suoi ideali di libertà. Non ho mai dimenticato quella Tomba.
Non avessi letto, da giovane, “Un uomo”, di Oriana Fallaci, non avrei improntato le mie scelte alla lotta contro ogni forma di ingiustizia, alla difesa delle proprie opinioni, alla fede nell’impegno e nella partecipazione, ma anche a una concezione dell’amore come apertura di un infinito mare di vita.
Un uomo che, passeggiando, teme di potersi imbattere nell’altro sé … non avessi incontrato Hisham Matar, con il suo “Il ritorno”, nei giorni del lockdown, non avrei accettato la parte di me che piangeva e tratteneva la più coraggiosa. Avrei sofferto molto di più.
Non avessi letto, non avrei avuto un’impalcatura. Non continuassi a leggere, non la sosterrei.
Lettura: un’ora la settimana, dalla prima elementare all’ultimo anno delle superiori.
Scrivere
Ascoltare quanto preme, dentro.
Riunificare i diversi sé, figli, figlie, fratelli, sorelle, mariti, mogli, amanti, padri, madri, adulti, sempre diversi nei diversi contesti.
Insieme, con la forza di tutti, scendere nell’unico cuore, scovare quanto stride, riportarlo in superficie, depositarlo, trasformarlo in parole, dargli una forma, un significato.
L’indistinto, ora riconoscibile, si risolverà, cancellerà il buio e riporterà la luce.
Indicherà un nuovo percorso.
Nel quotidiano, il miracolo non accade.
Serve tempo, coraggio, disciplina, sincerità.
Scrivere: un’ora la settimana, dalla prima elementare all’ultimo anno delle superiori.
Alessandra Merigh
IIS “F. Flora” – Pordenone
17 – Qui
Qui è il luogo dove il mio essere è in questo momento, sicuramente diverso da dove era in precedenza. È il momento esatto in cui si ha percezione di Sé. In questo momento storico non è più nello stesso posto dove noi usualmente ci ritrovavamo e quindi incontravamo noi stessi attraverso gli altri.
Ci siamo sempre, rimaniamo presenti a noi stessi, le comunicazioni continuano ad esistere, ma in modalità completamente diverse spesso filtrate da uno schermo.
La tecnologia ci è venuta incontro e ci ha permesso di mantenere i contatti con il mondo e il “QUI dove io sono” si espande in uno spazio virtuale per incontrare l’altro.
Il Qui può fuggire, rintanarsi in un angolo o celarsi dietro una vecchia memoria. È un po’ un guardarsi intorno e scoprire nuove sfumature di un paesaggio sconosciuto e inatteso.
Qualcosa si scuote dentro di noi e chiede una nuova forma: RIMANERE ED OSSERVARE diventa una necessità per formare dei nuovi connotati, dare un contorno al disegno, un confine entro il quale muoversi.
Servono FANTASIA REALISTICA, CREATIVITÀ CONCRETA per ricostruire o reinventare un nuovo modo di essere QUI, nel mondo, e per poter dare forma a un nuovo Sé.
Patrizia Missana
IC “R. Levi Montalcini” – Fontanafredda
18 – Rivalorizzazione
Lo è il prefisso “ri”. Definizione da cruciverba che ha come soluzione una parola di nove lettere: iterativo.
Non v’è dubbio, anche senza scomodare gli accademici della Crusca, che quelle due lettere abbiano un significato di ripetizione o duplicazione. Stando così questo sostantivo, derivato dal verbo “valorizzare”, esprimerebbe un ulteriore conferimento di valore a qualcosa, come se la prima azione non fosse stata sufficiente.
Dunque il morfema “ri” è anche intensivo (sempre nove lettere!).
Può pure indicare il ritorno a una fase anteriore, come ad esempio nella parola “ritrovamento”: trovare qualcosa che si era perduto. Nel nostro caso, è necessario prendere in carico nuovamente la questione perché, per qualche motivo, il suo valore è decaduto o si è offuscato.
“Ri” accostato alla parola valorizzazione determina due atteggiamenti diversi. Se prevalgono le accezioni di nove lettere, il percorso è chiaro: si investe, si lavora, si indirizzano le energie su qualcosa che è per tutti valido e assodato (ad esempio nessuno contesterebbe le finalità per cui si documenta o si promuove un bene artistico tutelato o esposto in un museo).
Se invece il “ri” comunica il ritorno a uno status precedente, lasciando intendere un intervallo dove sia venuto meno il riconoscimento di senso e di valore, allora fondamentale sarà dapprima una presa di coscienza e poi un cambiamento. Poiché il valore è un concetto che muta nel tempo e spesso assume sfumature soggettive, sarebbe sbagliato darlo per scontato. Ri-valorizzare allora ci induce a posare lo sguardo su ciò che per varie ragioni abbiamo oltrepassato senza osservare, né considerare; a prendere consapevolezza della realtà che ci circonda, degli spazi che occupiamo, del patrimonio culturale di cui siamo detentori. Così fa il mosaicista ogni volta che interpreta un bozzetto a mosaico. Egli guarda oltre, è allenato a individuare quelle qualità che la tecnica musiva può rilevare e potenziare, poiché “non esiste una traduzione passiva, ma una vera e autentica espressione che scova, svela l’interno della creatività originale” (Concetto Pozzati, Mosaico&Mosaici, 1998).
Scuola Mosaicisti del Friuli
Spilimbergo
19 – Sostegno
Comprendo que no existe / el camino derecho. / Solo un gran laberinto / de encrucijadas multiples. (Lo so che non esiste / la strada diritta. / Solo un grande labirinto / di numerosi crocevia).
Forse in questi versi di Federico García Lorca si intuisce cosa sia sostenere, che presuppone lo sprigionarsi dell’altro nella relazione. Un labirinto è l’essere umano che siamo e che abbiamo di fronte: un corpo che si muove nello spazio e nel tempo della mente, in cui si tengono insieme il qui e l’altrove, la memoria e l’esperienza.
Il mistero di sé si fa ancora più complesso quando il corpo esce dalla norma, che norma non è, se non intesa come insieme degli individui, unici e particolari. Sostenere è un farsi carico dell’altro: i suoi bisogni e i suoi desideri mostrano la strada a noi, che sappiamo come percorrerla, ma per farlo dobbiamo dimenticare ciò che sappiamo ed entrare in risonanza con chi ci sta di fronte.
È questo il primo passo, che precede e accompagna ogni strategia didattica. Solo così avviene l’incontro nell’atteso crocevia, quando chi sostiene e chi è sostenuto scoprono ciascuno un pezzo del proprio labirinto, che risuona nella relazione, ognuno nella propria strada.
Roberto Cescon
Liceo “Leopardi Majorana” – Pordenone
20 – Tempo
Il tempo scuola è sempre tutto nostro, raccoglilo e mettilo via.
C’è stato tolto il tempo e con lui molto di ciò che consideravamo ordinario, come il contatto, lo stare insieme, la scuola. Esperienze tanto ordinarie da non porle più nemmeno come valori. Il tempo dello stare insieme è diventato talvolta fonte di disagio, se non proprio di timore.
Come educatori non ci è possibile rinunciare al contatto con i nostri studenti. E quindi siamo sospinti a ripensare, con loro, nuovi modi di essere e di stare insieme, superando l’ordinario, magari inventando lo straordinario, senza paura e con un pizzico d’audace follia.
Riqualifichiamo il tempo scuola che c’è dato da condividere. Anche il tempo fuggitivo, mediato da strumenti e da collegamento nuovi, ai quali non eravamo abituati, è comunque tutto nostro. Utilizziamolo tutto intero, per meglio guardarci negli occhi e nutrire reciprocamente le nostre anime di nuove conoscenze e interpretazioni.
Avremo compiuto dunque il miracolo di ricondurre lo straordinario nell’ordinario, e così questo nostro tempo sospeso non sarà fluito invano. Il desiderio di conoscenza e di senso delle cose ci permetterà di ritrovare, insieme ai nostri allievi, nuovo vigore e slancio per pensare e osare oltre il contingente.
Ita fac, vindica te tibi, et tempus quod adhuc aut auferebatur aut subripiebatur aut excidebat collige et serva (Seneca).*
*Fai così: rivendicati a te stesso, e il tempo che finora o veniva portato via o veniva sottratto o andava perduto raccoglilo e mettilo in disparte.
Alberto Visentin
Scuola Professionale “Lepido Rocco” – Treviso
21 – Ubuntu
“Umanità” ed “essere quello che si è grazie a quello che siamo tutti”. In Ubuntu, antica parola africana, convivono entrambi i significati che hanno ispirato un numero incredibile di persone nel mondo del software open-source, a lavorare con pura passione nel perseguire un obiettivo etico.
Tanto che Ubuntu è diventato il nome di un sistema operativo, nato il 20 ottobre 2004, da una variante del già esistente Linux. In Ubuntu sono racchiusi i concetti di gratuità e libertà. Chiunque può collaborare al suo miglioramento o creare la propria variante e distribuirla senza costi.
Gruppo FEX (Frontend &User Experience)
ITS Kennedy – Pordenone
22 – Voto
Col passare del tempo, la mia percezione del voto è cambiata. Da piccola pensavo che se prendevo meno di 7 o 8 non ero considerata dagli altri abbastanza brava. Crescendo ho completamente ribaltato la situazione. Ho iniziato a pensare meno al voto e più a quello che studiavo e perché lo studiavo. Per imparare più cose possibili, perché è per questo che si va a scuola. Per imparare, non per essere etichettati con un voto o giudizio in ogni materia. Un voto non deve definire la persona che siamo, perché non è così: nella mia scuola ideale, vorrei che non esistessero i voti.
Cos’è una vita senza imparare? Quando studio o imparo qualcosa di nuovo mi auguro sempre che questa cosa non vada persa nella mia testa. Spero che un giorno sarò in grado di usarla, magari per aiutare qualcuno, o me stessa in situazioni di difficoltà.
A me piace sedermi alla mia scrivania, fare i miei schemi, studiare e leggere. Forse perché mi trovo in questa situazione, per me studiare non è uno sforzo, anzi, è uno sfogo. Lo studio abita e cresce le mie giornate, che, altrimenti, sarebbero noiose e monotone. Mi fa sentire parte della mia classe, senza essere esclusa.
Gerta Allushi
Scuola in Ospedale – Area Giovani – CRO di Aviano
23 – WE
Noi, in inglese. Perché l’inglese ci ha subissato, ha invaso le nostre aule virtuali con il WEb, i WEbinari, i WElcome days all’università.
Ma la scuola è WE, è e deve restare NOI, comunità di studenti e docenti, dove davvero tutti sono docenti nel proprio comportamento, nel modo di esprimersi, di porsi nei confronti dell’altro. Se abbiamo resistito è solo perché abbiamo saputo rimanere noi stessi aprendo il nostro mondo privato agli altri, costretti da circostanze che difficilmente avremmo potuto immaginare. Abbiamo scoperto quanto la scuola sia ancora di salvezza e porto sicuro per molti, per troppi. Mai come in questo anno scolastico gli studenti hanno avuto bisogno di sentirsi parte integrante di un progetto, di un sistema che li ascoltasse e proteggesse. Chi ha saputo cogliere quest’opportunità ha creato legami che andranno ben oltre un percorso scolastico. Fare comunità è fare buona scuola, quella vera, che insegna e non è uno slogan, ma è soprattutto esperienza di vita per studenti e professori.
Erika Fornazaric
Liceo classico “F. Prešeren” – Trieste
24 – Xchè?
Ovvero, a quale scopo? Che senso ha una scuola con ogni mezzo, ad ogni modo, in ogni circostanza? Sarà così vero che ne vale sempre la pena? La scuola è il senso, il modo, il mezzo, la circostanza per costruire il proprio posto, la propria storia e il proprio bagaglio. Per il futuro? Oh, sì. Ma non solo per il futuro! Scuola è per edificarci oggi, comprendere ciò che è stato ieri, imbastire il domani. Nella ordinaria e ripetitiva quotidianità nota e rassicurante, nel profondo e imprevisto caos di una pandemia, nelle circostanze di una invadente cura oncologica. Ha senso, ha un senso. Il senso dell’identità, del singolo e del gruppo. Del personale e del collettivo. Trasversalmente a tempo e spazio.
I ragazzi sono la scuola, la scuola sono i ragazzi. Ci si inventa a vicenda, ci si identifica a vicenda. Si muovono trame, possibilità, idee, proposte e confronti sfidando le caratteristiche delle situazioni in cui viviamo, affinché questo intreccio di costruzioni fondamentali non venga meno. Per non perdersi, per ritrovarsi, per dire e dimostrare che c’è sempre un modo, un mezzo, una circostanza. Perché studiare e incontrarsi ha sempre un senso. Questo. E a darlo sono gli attori della scena. Personalmente e responsabilmente, ciascuno di noi.
Francesca Bomben
Area Giovani – CRO di Aviano
25 – Young La giovinezza
“Todos los fuegos, el fuego” –tutti i fuochi, il fuoco- diceva lo scrittore Julio Cortázar per sottolineare quegli aspetti comuni a tutti, quel tipo di collegamento che ci unisce, a dispetto delle differenze, arricchendoci l’un l’altro.
Se possiamo dire, comunque, che tutti gli esseri umani dei diversi periodi storici che ci hanno preceduti sono con noi, ci rendiamo conto del bisogno di un altro sguardo sul particolare periodo che stiamo vivendo per capirlo, viverlo meglio, per coabitare il nostro mondo. Allo stesso modo, tutti i periodi della nostra vita convivono dentro di noi: noi adulti manteniamo la nostra giovinezza senza grandi sforzi, basta sentire e guardare il mondo con meraviglia; i giovani, allo stesso tempo, sono proiettati verso il futuro con i loro dubbi e le loro speranze. Condividiamo paure ed illusioni, spazi e difficoltà.
Essere giovani, perciò, in questo senso è qualcosa di profondamente diverso dell’età biologica. Essere giovani significa avere voglia di costruire e costruirci, trovare spazi di sorpresa ed imparare a capire le nostre zone ombra.
Il collegio sembra proprio il luogo dove affrontare queste sfide: il posto dove siamo collegati, nel quale diverse generazioni condividono pensieri e dialogano attraverso i gesti e le parole.
Per esserne sempre consapevoli dovremmo contribuire intenzionalmente a creare questi spazi di confronto, ad esempio nel teatro, in cui si impara ad essere un altro, e lo si abita con spontaneità, respirando le abitudini con un certo distacco critico.
Una scuola giovane è infinita, come infinita ci sembra la conoscenza. Viviamocela.
Pablo Martinez Rosado
Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico – Duino
26 – Zoom
Nata nel 2011 dalla necessità di uno studente universitario di comunicare con la propria ragazza distante geograficamente, nel 2020 Zoom si è diffusa a macchia d’olio a causa della pandemia che ha spezzato molte abitudini della comunicazione umana, ormai considerate acquisite e cristallizzate nella loro ripetitività.
Zoom è una app che ci consente di vedere e parlare con le persone come se fossero davanti a noi, a prescindere da dove siano fisicamente. Vicinanza e contatto, seppur virtuali, in condizioni di normalità o di straordinarietà quotidiana.
Gruppo FEX (Frontend &User Experience)
ITS Kennedy – Pordenone
Abbiamo letto varie definizioni e molte altre possono accompagnare l’ormai inarrestabile vento del cambiamento. A volte, per cambiare, basta mettersi nei panni dell’altro, come ha fatto Carol Ann Tomlinson. E ascoltando quello che ci chiede il ragazzo, possiamo cogliere gli obiettivi di un’autentica relazione educativa.
SONO UN RAGAZZO3
Sono un ragazzo.
Vengo a te mio insegnante.
Ti porto un sussurro.
Riesci a sentirne la poesia?
Sono un ragazzo.
Vengo a te mio insegnante.
Mi dirai cosa pensare o mi mostrerai come farlo?
Mi insegnerai le risposte oppure la magia del porre buone domande?
Sono un ragazzo.
Vengo a te mio insegnante.
Apprendere sarà solo fare le cose in modo giusto o fare le cose giuste?
Una questione di piacere o di dovere?
Sono un ragazzo.
Vengo a te mio insegnante.
Puoi insegnarmi a tracciare il mio cammino personale,
o mi indirizzi su binari precostituiti?
Sono un ragazzo.
Vengo a te mio insegnante.
Ti lascerò cavalcando i miei punti di forza
o dopo aver inciampato nei miei punti deboli?
Sono un ragazzo.
Vengo a te mio insegnante.
Ti porto tutto ciò che sono,
tutto ciò che posso diventare.
Ti rendi conto di quanta fiducia ripongo in te?
Antonella Santin
Psicologa, coordinatrice della Struttura stabile di sostegno all’orientamento educativo area friulana – Regione FVG
Direzione centrale lavoro, formazione, istruzione e famiglia – Servizio ricerca, apprendimento permanente e fondo sociale europeo – Centro di Orientamento Regionale di Pordenone
L’articolo è stato pubblicato nella rivista Quaderno di orientamento – numero 57 – secondo semestre 2021. Tutti i numeri della rivista sono consultabili al seguente link
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Note
- Valentino Ostermann La vita in Friuli. Usi, costumi, pregiudizi e superstizioni popolari, Tipografia Domenico del Bianco, Udine 1894
- È possibile chiedere copia della brochure inviando una email all’indirizzo: cr.orientamento@regione.fvg.it
- in: Carol Ann Tomlinson Adempiere la promessa di una classe differenziata, LAS, Roma, 2006