Un’educazione salvifica per una società malata

Nuovi educatori per trasmettere competenze esistenziali

Il nostro futuro si configura come una sfida tra la trasformazione dell’educazione e la catastrofe.
Solo dal processo di autocomprensione consapevole potrà derivare la comprensione del proprio malessere.

I molteplici aspetti della crisi

Da perlomeno quindici anni sostengo che non ci sia nulla di più importante che possiamo fare per il nostro destino collettivo se non trasformare l’educazione, così come viene attuata oggi, in una nuova forma che non si occupi tanto dell’istruzione o dell’informazione degli allievi, quanto piuttosto dello sviluppo umano integrale, i cui aspetti più importanti sono la libertà, l’amore e la consapevolezza nella sua dimensione spirituale o transpersonale.
Ritengo quindi che il tipo di educazione di cui abbiamo bisogno per trasformare l’attuale situazione critica della società debba essere un’educazione salvifica. I molteplici aspetti della nostra crisi possono essere considerati come derivati, in ultima istanza, dalla condizione collettiva delle nostre menti, che Freud riconobbe con il termine di nevrosi universale.2 Non è il caso di sviluppare in questo ambito la mia analisi della nevrosi universale né del concetto di mente patriarcale3 (che mi pare costituisca finora la migliore descrizione della nevrosi universale), tuttavia mi sembra importante argomentare la mia convinzione sul fatto che la nostra problematica attuale sia costituita essenzialmente da un’umanità bloccata nel suo sviluppo, che può essere paragonata, usando una metafora, a una società di bruchi che non riescono a trasformarsi in farfalle. Da qui il senso del titolo del mio contributo, “un’educazione salvifica per una società che non sa di essere malata”, che non è, in altre parole, neppure consapevole della propria infermità.
Tuttavia, se ci chiediamo come mai non siamo consapevoli d’essere malati, dobbiamo riconoscere che questa inconsapevolezza deriva da una mancanza di autoconoscenza che è stata perpetuata attraverso l’educazione medesima e ha prodotto una sorta di contagio costitutivo dell’ignoranza di sé, che si sta diffondendo tra l’istruzione e la cultura. È quindi molto importante che la nuova educazione salvifica, che si dovrebbe auspicabilmente implementare, incoraggi per prima cosa le persone a sapersi comprendere. Solo da tale processo di autocomprensione consapevole potrà derivare la comprensione del proprio malessere, che si manifesta nella doppia forma del disagio esistenziale e del decadimento etico.
Viviamo in un mondo estremamente ipocrita e dovrebbe essere chiaro che, come Freud ha scoperto, se non ci risvegliamo alla realtà diventiamo un’orda potenzialmente parricida che, nonostante creda di amare i propri figli, invece li sacrifica.4 Ciò si verifica perché facciamo parte di una pretesa civiltà che possiede invece le caratteristiche di una barbarie auto-idealizzantesi. In questa situazione, la nostra speranza per il risveglio è costituita dal cosiddetto “potenziale umano”,5 che prima di tutto è l’amore, tanto nella sua dimensione compassionevole che nella sua dimensione devozionale, capace di ascendere al divino e agli ideali più elevati.
Quello che tuttavia non viene ancora riconosciuto è che il risvegliarsi all’amore non richiede solo un processo terapeutico o la purificazione del nostro egoismo vorace, bensì il recupero della nostra sana natura istintiva, che ha dovuto soccombere attraverso millenni di cultura repressiva. tale cultura insegna l’antagonismo e la competizione invece del piacere e ancor di più dell’ascolto degli impulsi naturali. Per questo motivo la cultura occidentale non è riuscita a evolversi in una civiltà autenticamente cristiana, fondata sull’amore e non sulla violenza e l’avidità. Il motivo essenziale per questa mancata trasformazione positiva è che il cristianesimo ha trascurato il fatto che per amare il prossimo è necessario l’amore per se stessi e che per amare se stessi è necessario amare il proprio animale interiore o “bambino interiore”, che non è altro se non la nostra naturalezza istintiva. Diventa così urgente che la nuova forma educativa si ponga l’obiettivo della trasformazione della cultura repressiva e diventi un’educazione alla libertà e alla responsabilità che deriva dalla libertà medesima.
Si potrebbe pensare che tutto questo possa apparire utopico: chi sarebbe capace oggigiorno di insegnare la conoscenza di sé, la libertà e l’amore?
Si può rispondere a questa domanda se si comprende che non si potrà avere una nuova educazione senza formare degli educatori in grado di impartirla. Educatori che non solo imparino cose nuove, ma che siano capaci di sviluppare le capacità fondamentali che la nuova educazione deve  trasmettere, capacità che propongo di definire competenze esistenziali.

Un modello di formazione per gli educatori di domani

Finora non abbiamo ancora proposto, a livello istituzionale, un modello di formazione perché gli educatori di domani siano molto più che istruttori e agenti di repressione. Non lo abbiamo mai fatto perché si ignora che disponiamo di un metodo efficace per lo sviluppo delle competenze esistenziali e di esperti in tale settore. Questo metodo è stato sviluppato nel corso di circa cinquant’anni, durante i quali ne hanno beneficiato molti educatori in molti Paesi di quattro continenti. Essi hanno apprezzato gli effetti del processo di trasformazio ne che tale metodo offre, al punto tale che una Facoltà Universitaria Europea mi ha conferito la laurea honoris causa in Scienze della Formazione.6 Solo che finora nessuna università e nessun governo hanno deciso di approfittare di questa preziosa risorsa. Come mai?
In primo luogo per l’inerzia burocratica di un’istituzione come l’università, che è stata creata per dare un servizio alla società e che ora serve solo a se stessa, secondo una modalità autoreferenziale. In secondo luogo per un’igno- ranza sistemica.7 In terzo luogo anche per il sospetto che chi predica una “buona novella” lo faccia solo per arricchirsi o per acquisire prestigio.
Mi auguro tuttavia che questo mio intervento possa stimolare un’iniziativa da parte del governo cileno in ascolto per produrre un qualche progetto concreto, per esempio un programma pilota sperimentale complementare alla formazione accademica tradizionale dell’Istituto di Pedagogia, che possa essere valutato e poi riprodotto8. Sono inoltre convinto che il nostro futuro si configuri come una sfida tra la trasformazione dell’educazione e la catastrofe. Nonostante sia stato nel corso della mia vita una persona più interessata alla vita spirituale religiosa piuttosto che alla scienza e all’arte, ritengo che il progetto di una nuova educazione sia più importante per la nostra salvezza collettiva di quello che rappresentarono a loro tempo le vecchie religioni.
Per concludere, poche parole riguardo alla mia formazione principale e alla mia fonte di ispirazione, che è stata essenzialmente diversa da un curriculum formale, nonostante il fatto che debba molto alla mia formazione scientifica giovanile nella quale ho ottenuto la laurea in Medicina e successivamente molti altri titoli e specializzazioni anche ad honorem in varie università e in svariati Paesi.
Sostengo infatti in ogni occasione di essere stato il prosecutore spirituale di un cileno che era conosciuto e ancora ricordato soprattutto come un artista, ma che io ho percepito fin dall’inizio come un profeta di quelli ignorati dalla sua terra e dalla sua epoca, che si chiamava totila Albert e fu il primo a denunciare la struttura patriarcale della società come la radice dei nostri mali individuali e collettivi molto prima che il femminismo facesse propria la critica del patriarcato come qualcosa di rilevante per la giustizia a favore delle donne.9
Solo in tempi relativamente recenti e grazie al libro di Riane Eisler “Il calice e la spada”,10 è stata introdotta a livello culturale l’argomentazione per cui il patriarcato non sia solo una forma di ingiustizia nei confronti del genere femminile, ma anche un grande ma- le collettivo a livello sociale. In realtà, la Eisler preferisce non usare la parola patriarcato come descrizione di quell’atteggiamento violento e repressivo che ha accompagnato la perdita di equità o parità nelle relazioni umane, scegliendo invece di enfatizzare la necessità di un’educazione per lo sviluppo di relazioni paritarie. Ritengo comunque che la visione di totila Albert contenga un messaggio importante rispetto all’idea politica di una società sana, e cioè una visione trinitaria (per l’importanza data all’equilibrio tra i valori paterni, materni e filiali) che va al di là del semplice concetto di democrazia che tutti hanno propagandato, ma che nessuno osa veramente istituire.
La visione di totila Albert per una società così alternativa a quella attuale è specialmente in sintonia con quella di molti contemporanei che insistono sulla necessità di una “politica per la coscienza”. Si tratta di affermare una visione che riconosca la necessità di trasformare la mente individuale, affinché si possa stabilire in un qualche giorno questa società eterarchica nella quale la dimensione dell’autorità gerarchica venga equilibrata non solo tramite l’ascolto delle istanze della comunità dei cittadini (così come nel modello repubblicano), ma soprattutto mediante l’ascolto delle istanze del bambino interiore dentro ciascuno di noi, bambino che è stato finora sepolto dalle culture che si sono avvicendate nella successione storica.

Prof. Claudio Naranjo

 

L’articolo è stato pubblicato nella rivista
Quaderno di orientamento – numero 50 – primo semestre 2017.

Tutti i numeri della rivista sono consultabili al seguente link

 

Bibliografia

  • Eisler R., Il calice e la spada, Udine, Forum, 2011.
  • Freud S., Psicopatologia della vita quotidiana, torino, Bollati Boringhieri, 1971.
  • Freud S., L’avvenire di un’illusione, torino, Bollati Boringhieri, 1990.
  • Freud S., Totem e Tabù, torino, Bollati Boringhieri, 2011.
  • Naranjo C., Cambiare l’educazione per cambiare il mondo, Udine, Forum, 2006.
  • Naranjo C., La civiltà, un male curabile. Milano, Franco Angeli, 2007.
  • Naranjo C., Carattere e nevrosi, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1996.
  • Naranjo C., L’Ego patriarcale, Milano, Feltrinelli URRA, 2009.

Note

  1. Traduzione e note a cura di Daniele Ungaro ed Elisabetta Damianis.
    Claudio Naranjo, psichiatria, psicoterapeuta e maestro spirituale cileno, è stato successore di Fritz Perls – il fondatore della psicoterapia della Gestalt – all’Esalen Institute in California e ha insegnato in varie Università cilene e americane, tra le quali Berkeley, dove attualmente vive. Candidato premio Nobel per la pace è universalmente conosciuto per essere il fondatore del percorso SAt di crescita e autoconsapevolezza spirituale, che si svolge in paesi europei, americani e africani e per il suo progetto di trasformazione dell’educazione. Relativamente a questo progetto c’è da segnalare il suo lavoro: Cambiare l’educazione per cambiare il mondo, Udine, Forum, 2006. Il testo qui presentato è la traduzione in italiano dell’intervento svolto da Clau- dio Naranjo durante il “Congreso Futuro 2017”, alla presenza tra l’altro di esponenti del governo cileno, convegno dedicato all’educazione per il XXI secolo, Santiago del Cile, 9-15 gennaio 2017.
  2. Il concetto di nevrosi universale è statoutilizzato da Freud sia nel suo Psicopato- logia della vita quotidiana, torino, Bollati Boringhieri, 1971 (edizione originale 1901) che nell’opera più tarda L’avvenire di un’illusione, torino, Bollati Boringhieri, 1990 (edizione originale 1927). In generale, con questo termine Freud indica un conflitto latente o manifesto che si verifica tra istinto e regolazione sociale; quest’ultima, assume spesso una forma repressiva.
  3. Naranjo fa riferimento sia al suo lavoro fondamentale sulla nevrosi caratteriale Carattere e nevrosi, Roma, Astrolabio- Ubaldini, 1996, che alla sua altrettanto importante opera L’Ego patriarcale, Milano, Feltrinelli, 2009.
  4. Il riferimento è al concetto di orda primordiale utilizzato da Freud soprattutto nella sua opera Totem e Tabù, torino, Bollati Boringhieri, 2011 (edizione originale 1912).
  5. Il Movimento per il potenziale umano nasce da un’intuizione dello scrittore inglese Aldous Huxley e viene svilup- pato agli inizi degli anni sessanta dello scorso secolo presso il centro culturale di Esalen (California) da intellettuali qua- li George Leonard, Michael Murphy e Frederic Spiegelberg. Punto comune del movimento è una ricerca di libera- zione dell’uomo attraverso un approccio spirituale transreligioso. In questo caso Naranjo si riferisce in maniera specifica alla struttura della famiglia interiore, come da lui concepita sulla scia delle intuizioni dello scultore e profeta cileno totila Albert, di cui si considera il successore (infra).
  6. Naranjo accenna al suo percorso SAt (acronimo di Seekers after truth, cercatori dopo la verità, www.satitalia.it) di consape- volezza spirituale, che si rivolge, mediante la sezione del“SAt educazione”in maniera anche esclusiva agli educatori e si riferisce inoltre alla laurea honoris causa in Scienze della Formazione, conferitagli dall’Università di Udine nel 2007.
  7. Naranjo fa riferimento all’ancora scarsa accoglienza, soprattutto in campo istitu- zionale e accademico, che viene concessa alle pratiche formative svolte nei percorsi SAt di trasformazione umana e spirituale.
  8. Si veda la nota 1 sull’occasione in cui tale conferenza viene svolta.
  9. Naranjo sottolinea come il pensiero di totila Albert non faccia riferimento in maniera esplicita al filone femminista o all’elaborazione filosofica delle differenze di genere, ma sottolinei in maniera innovativa come la cultura patriarcale riguardi in primo luogo la concezione stessa della struttura individuale della personalità, secondo un modello della famiglia interiore che sottomette alla figura simbolica del padre le figure della madre e del figlio.
  10. In questo caso Naranjo si riferisce all’opera dell’antropologa Riane Eisler Il calice e la spada, Udine, Forum, 2011, nella quale l’autrice tratta del modello di civiltà  maschile/androcratico (la metafora della spada) e delle alternative possibili ad esso (la metafora del calice), anche sulla base di evidenze archeologiche. Rispetto a questo tema c’è da segnalare un ulteriore contributo di Naranjo La civiltà, un male curabile, Milano, Franco Angeli, 2007.

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