Il gioco del teatro per lo sviluppo delle abilità metacognitive

Una proposta didattica

Assumersi la responsabilità del proprio processo di apprendimento permette l’adozione di comportamenti, strategie e tecniche consapevoli e di sviluppare l’autocontrollo

Gioco e apprendimento

L’importanza del gioco nei processi di apprendimento è stata ampiamente sostenuta dalla pedagogia e dalla didattica.1 Il gioco, limitando gli elementi di tensione e ansia che rendono problematico l’apprendere, permette lo sviluppo delle abilità metacognitive2 all’interno di un contesto spontaneo. La spontaneità non va confusa però con il disordine ed è compito dell’insegnante creare le condizioni affinché l’attività si svolga in maniera organizzata.

Anche il laboratorio teatrale si inserisce in un contesto di questo tipo. L’approccio ludico infatti permette di scaricare le tensioni, favorisce relazioni più rilassate con i compagni e con l’insegnante e crea un clima favorevole per l’acquisizione efficace di un metodo di studio, motiva all’apprendimento di contenuti e ha una ricaduta positiva sull’attività scolastica. Attraverso il teatro si possono trasmettere contenuti delle diverse discipline e potenziare abilità in maniera trasversale.

Il tipo di attività si adatta molto bene alla fascia d’età dei pre-adolescenti perché contribuisce se non a rimuovere almeno ad attenuare i condizionamenti che molti di essi hanno soprattutto rispetto alla corporeità e a favorire dei rapporti collaborativi tra pari.

All’inizio, la maggior parte dei ragazzi sono imbarazzati, cercano di sottrarsi alle richieste e sono poco collaborativi. L’attività teatrale ha per sua natura una dimensione ludica e questo li porta spesso a vivere l’esperienza in maniera poco responsabile, non comprendono subito che anche il gioco richiede serietà e tendono a creare momenti di confusione. In molti casi mascherano in questo modo un senso di inadeguatezza che provano per un’attività che li “mette in gioco”, infatti può risultare imbarazzante confrontarsi con i compagni e con l’insegnante in maniera meno formale di quanto non avvenga in un’aula scolastica, mettere in evidenza delle caratteristiche e dei modi di essere che spontaneamente preferiscono non rivelare.

Naturalmente queste risposte vanno orientate affinché l’attività risulti produttiva; spiegando il significato del lavoro che si sta facendo l’insegnante deve anche essere molto deciso nel bloccare subito atteggiamenti di disturbo e nello stesso tempo dimostrarsi comprensivo nel cogliere i momenti di imbarazzo e nel cercare di rimuovere i blocchi emotivi che condizionano la riuscita degli esercizi. In questo modo, nel corso degli incontri, i comportamenti che impediscono un vero lavoro di gruppo e con il gruppo almeno si smussano se non vengono del tutto eliminati.

La struttura di un laboratorio di teatro

Un laboratorio teatrale con alunni di scuola media si compone generalmente di incontri della durata di un’ora circa alla settimana. I ragazzi devono sapere fin dall’inizio che l’attività che si intende svolgere rispetterà il tempo che viene indicato: “lavoreremo per un’ora/ due ore…”. Non vengono concesse dilazioni senza che vi sia un reale motivo. Essere vaghi o assecondare richieste non motivate (i ragazzi chiederanno di fermarsi di più per “non fare lezione”) significa togliere serietà al lavoro. Il tempo sarà quindi strutturato prevedendo in maniera molto precisa un inizio, uno svolgimento (con momenti di spicco e aumento di tensione alternati a momenti di ritorno alla calma) e una fine. Inizio e fine saranno sottolineati da esercizi e momenti significativi (rito).

Il modo consueto di aprire e chiudere una sessione di lavoro è mettersi in cerchio. Questa posizione ha infatti il significato di unione e dispone al lavoro comune. Nella prima fase si inizierà con il rilassamento e la ricerca di una posizione “neutra”3. Si potrà proporre un primo esercizio di “ascolto”. Partendo dalla posizione neutra si rimane in silenzio, “ascoltando” gli altri; ad un certo punto, senza stabilirlo prima, uno dei ragazzi individua con lo sguardo un compagno, si stacca dal cerchio e va verso l’altro scambiando le posizioni.

Anche alla fine dell’incontro la sistemazione in cerchio è adeguata; si noterà che, rispetto al rito di inizio, il cerchio conclusivo assume un significato più intenso: i ragazzi hanno lavorato insieme per un’ora, si sono “scoperti” e l’insegnante lo ha fatto con loro, si è creato un clima più collaborativo, solidale e amichevole.

Lo spazio in cui si lavora ha la sua importanza. Un’attività organizzata non può farsi ovunque ma deve prevedere un luogo deputato, sia esso un’aula, una piccola palestra, un corridoio sufficientemente ampio. Lo spazio dovrebbe essere sempre lo stesso: spostarsi da un posto all’altro dà l’idea di improvvisazione e provvisorietà, la sensazione che ciò che si sta facendo non sia poi così importante rispetto alla lezione tradizionale perché può essere svolto dove c’è uno spazio a disposizione non ancora occupato da altre attività. Meglio allora utilizzare sempre l’aula tradizionale spostando banchi e sedie per l’occorrenza.

Uno degli scopi del laboratorio è quello di far acquisire la consapevolezza della propria gestualità e più in generale di un modo soggettivo di reagire di fronte a situazioni problematiche o imbarazzanti e di rispondere in maniera personale alle sollecitazioni del gruppo. Per questo è fondamentale dare sempre spiegazioni chiare riguardo alle richieste e agli obiettivi; in questo modo il ragazzo prende coscienza di ciò che si sta facendo e affronta il compito con maggiore sicurezza. Altrettanto importante è il momento della riflessione che dovrebbe venir fatta sia durante l’attività, dopo due o tre esercizi, sia alla fine, in classe, con lo strumento della “cartellina”. Basterà utilizzare per ognuno un foglio in formato A3 piegato in due che i ragazzi personalizzeranno secondo il loro gusto. Potrebbe sembrare una perdita di tempo, una cosa che si può fare a casa, invece sarà bene dare importanza alla preparazione della cartellina perché utilizzare tecniche e strumenti che sono familiari (il disegno, i colori…) susciterà nei ragazzi un’aspettativa che li disporrà positivamente all’attività del laboratorio. Alla fine di ogni sessione di lavoro gli alunni con l’aiuto dell’insegnante riporteranno su un foglio gli esercizi fatti, la data di esecuzione e l’obiettivo che si intendeva raggiungere attraverso di essi (vedi tabella 1). I ragazzi, riflettendo su quanto appena fatto, si sentiranno i soggetti e non i semplici destinatari del proprio percorso di apprendimento.

Tabella 1
Foglio degli esercizi (esempio)

Questo materiale, assieme a fotocopie, copioni, immagini e tutto quanto si ritenga necessario durante il percorso verrà conservato con ordine nella cartellina.

Così strutturata la sessione di lavoro rappresenta un metodo per favorire e sviluppare negli alunni quelle abilità metacognitive che si definiscono come “imparare ad imparare”.4 Assumersi la responsabilità del proprio processo di apprendimento significa infatti adottare consapevolmente comportamenti, strategie e tecniche, sviluppare l’autocontrollo nelle situazioni in cui è richiesta una prestazione che potrebbe ingenerare ansia, interagire con l’ambiente e con gli altri.

La storia collettiva

Parlando della struttura del laboratorio si è detto dell’inizio e della fine e della scelta dei riti di apertura e chiusura. Ma all’interno? Cosa si può fare in concreto durante una sessione di lavoro?

Immaginiamo di proporre la creazione di una “storia collettiva”. Si tratta di inventare una storia rispettando dei punti fermi che l’insegnante fornirà all’inizio, come l’incipit, il numero dei personaggi, i luoghi, il genere (fiaba, racconto, giallo, fantasy…).

La storia collettiva richiede da parte degli alunni l’assunzione della responsabilità per ciò che si dice, la pertinenza rispetto all’argomento, la coerenza dello svolgimento, l’originalità del contenuto e la correttezza formale rispetto al sillabo5.

La storia racconta…

Riguardo al tema si forniranno alcune alternative, altre verranno suggerite dai ragazzi stessi.

Il momento della condivisione dell’argomento è importante. Inevitabilmente si creeranno tensioni all’interno del gruppo che andranno mediate e risolte giustificando ogni presa di posizione. Individuato un soggetto che incontri il favore della classe lo si scriverà sulla lavagna.

Il canovaccio

Seguirà la stesura di un canovaccio diviso in scene. È un lavoro che porta via del tempo e che movimenta l’attività poiché ognuno vuole mettere il suo contributo. Sarà compito dell’insegnante orientare la trama affinché non risulti dispersiva e poco coerente. Contemporaneamente si individueranno i personaggi e si tratteggeranno uno o più ambienti, massimo due o tre, in cui sviluppare le vicenda. I luoghi non devono essere troppi per mantenere unità nella trama; inoltre si deve tener conto dell’allestimento di un’eventuale rappresentazione finale che non può essere eccessivamente complessa.

Parliamo con il corpo

L’attività si sposterà a questo punto in uno spazio più ampio, dove sia possibile muoversi in libertà. Prima che su un copione vero e proprio la narrazione si strutturerà attorno al movimento e alle azioni corali, quelle cioè in cui tutti si sentono coinvolti. In questo modo non si stabiliscono ruoli più importanti di altri, tutti si sentiranno partecipi del risultato finale in una dimensione di gioco condiviso.

Dimenticando per il momento la storia abbozzata in precedenza verranno proposti degli esercizi propedeutici al lavoro di messa in scena. Uno di questi è, per esempio, “la camminata”: apparentemente molto semplice ma che richiede precisione nell’esecuzione. Occupare tutto lo spazio a disposizione, non interferire con le traiettorie dei compagni, muoversi con sicurezza e disinvoltura sono tutte abilità che l’esercizio richiede. Si possono, in un secondo momento, applicare delle varianti per concentrarsi sull’ambientazione e sui personaggi, ad esempio immaginare una camminata sotto la pioggia oppure nel traffico di una città. Riguardo alla caratterizzazione dei personaggi si potrà chiedere come sarà la camminata di un vecchio o di un tipo curioso. Alcuni esercizi come quelli appena descritti saranno utilizzati per raccontare la storia, altri invece serviranno ad acquisire maggiore consapevolezza delle proprie capacità e a creare la coesione nel gruppo. Solo in un secondo momento, seguendo il canovaccio fissato in precedenza e utilizzando gli esercizi svolti nel laboratorio, ci si concentrerà sull’evento centrale di ogni sequenza/scena per dare vita alla storia. Il punto di partenza sarà sempre il corpo e le sue capacità espressive perciò le varie situazioni verranno “raccontate” attraverso di esso. Non sempre la bozza di storia precedentemente indicata “funziona” in tutti i suoi dettagli e saranno necessari degli aggiustamenti. L’aver posto all’inizio dei punti di snodo, come delle boe da rispettare, tornerà molto utile per non perdere di vista gli obiettivi del lavoro.

Fino a questo momento le varie fasi del laboratorio sono state:

  1. il brainstorming per trovare il soggetto della storia;
  2. la stesura del canovaccio;
  3. la rappresentazione della storia con il corpo e con il gesto.

Resta da affrontare la fase conclusiva: la stesura del copione.

Figura 1
Suor Maria Adelgundis Acque, 1996 olio, cm. 50×70

Il copione

I ragazzi verranno divisi in gruppi di quattro o cinque e ad ognuno di essi verrà affidata una parte della storia che dovrà tener conto delle indicazioni iniziali. Sarà necessario richiamare la loro attenzione sulla coerenza nello sviluppo della fabula e dell’intreccio.

Si terrà conto dello spazio reale e immaginario, dello spazio in cui si svolge il racconto e dello spazio concreto della sua rappresentazione.

Poi si porrà l’attenzione sul tempo distinguendo tra tempo della storia, tempo del racconto e della rappresentazione, mettendo in evidenza la natura convenzionale del teatro.

Per approfondire questi meccanismi narrativi vi sono molti esempi tratti dalle fiabe, dalla letteratura in generale ma anche dall’arte e dai film.

Ogni insegnante potrà trovare lo spunto per approfondire questi temi ed elaborare un progetto più articolato.

Nella stesura del copione si tratteranno con cura gli aspetti formali, la divisione in scene, le indicazioni delle ambientazioni e dei personaggi, l’uso delle didascalie. Mantenere un ordine materiale anche i questa fase è essenziale per dare serietà al “gioco del teatro”.

I ragazzi imparano a lavorare insieme, a trovare la sintesi tra posizioni diverse, a mediare i conflitti per giungere a un risultato comune, cioè scrivere un copione che vada bene a tutti.

Conclusioni

Le potenzialità del teatro in ambito scolastico sono ampie e diversificate6. Già dall’abbozzo di laboratorio qui proposto si vede come attraverso questa attività sia possibile sviluppare percorsi pluridisciplinari e articolati.

La messa in scena di uno spettacolo è sotto il profilo didattico l’aspetto meno interessante di un laboratorio. È vero che esibirsi in pubblico, confrontarsi con le proprie paure e insicurezze è un’esperienza di crescita – e in questo sta il valore formativo della rappresentazione – ma dal punto di vista didattico il percorso di ideazione, progettazione e preparazione del lavoro ha una valenza di gran lunga superiore. È un processo di apprendimento che ha carattere dialettico poiché contempla successi, cadute, momenti di riflessione e revisione e permette lo sviluppo di una consapevolezza metacognitiva attraverso l’attività cooperativa proposta con la “leggerezza” del gioco.

Alessandra Nardon
Docente
Scuola secondaria di I grado
“L. Perco”
I.C. di Lucinico – Gorizia

 

L’articolo è stato pubblicato nella rivista Quaderno di orientamento – numero 52 – primo semestre 2018.

Tutti i numeri della rivista sono consultabili al seguente link

 

Bibliografia

  • Artaud A., Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino, 2000.
  • Balboni P. E., Le sfide di Babele, Insegnare le lingue nelle società complesse, UTET, Torino, 2008.
  • Brook P., Lo spazio vuoto, Bulzoni, Roma, 1998.
  • Cornoldi C., Metacognizione e apprendimento, Il Mulino, Bologna, 1995.
  • Fo D., Manuale minimo dell’attore, Einaudi, 1987.
  • Grotowski J., Per un teatro povero, Bulzoni, Roma, 1970.
  • Nardon A., Laboratorio teatro – Proposte per fare teatro nella scuola, Dino Audino Editore, Roma, 2013.
  • Parenti G., Guida alla pratica teatrale nella scuola e altrove, Paravia, Torino, 1971.
  • Rogers C. R., Libertà nell’apprendimento, Giunti, Firenze, 1973.
  • Stanislavskij K.S., Il lavoro dell’attore su se stesso, Bari, Universale Laterza, 1956.
  • Stanislavskij K.S., Il lavoro dell’attore sul personaggio, Bari, Universale Laterza, 1993.
  • Johnstone K., Impro, trad. it. P. Asso, Dino Audino Editore, Roma, 2004.
  • Spolin V., Giochi di teatro per le scuole, Dino Audino Editore, Roma, 2005.
  • Tassi R., Itinerari pedagogici, Zanichelli, Bologna, 2009.

Note

  1. Si tratta dell’approccio umanistico affettivo o apprendimento significativo (Carl Rogers) che basandosi sui principi del costruttivismo ritiene fondamentale che il soggetto sia coinvolto attivamente nel processo di apprendimento.
  2. Fu John Flavell ad introdurre il termine metacognizione negli anni Settanta definendolo come la consapevolezza e il controllo del soggetto rispetto ai propri processi di apprendimento e ai risultati ad essi connessi. In Italia la didattica meta cognitiva è stata sostenuta dalla scuola di Cesare Cornoldi (C. Cornoldi, Metacognizione e apprendimento, Il Mulino, Bologna 1995).
  3. La posizione di fermo del daktil è stata codificata da Mejerchol’d nel suo teatro biomeccanico. La posizione neutra è così definita: i piedi sono paralleli, le gambe leggermente divaricate ma non tanto, le estremità dei piedi non devono superare la larghezza delle spalle, le ginocchia sono leggermente piegate, le braccia e le mani rilassate lungo i fianchi, le spalle sono aperte e la testa allineata alla spina dorsale, come se un filo immaginario tirasse tutto il corpo verso l’alto ma non si devono creare tensioni, lo sguardo è vigile. Questa non è una posizione passiva come a prima vista potrebbe sembrare ma serve a controllare il respiro e l’equilibrio e sviluppa la concentrazione; in questo modo il soggetto è pronto a reagire alle sollecitazioni.
  4. La glottodidattica definisce l’espressione “imparare a imparare” come competenza glottomatetica. La glottomatetica indica la capacità di essere autonomi nell’apprendimento utilizzando competenze acquisite in diverse discipline per la comprensione e il trattamento di altre discipline (operazione sincronica che prevede il meccanismo del transfer) e l’interesse ad ampliare e perfezionare nel tempo le proprie competenze nella lingua studiata (operazione diacronica) agevolando così anche l’acquisizione di nuove lingue.
  5. In glottodidattica il concetto di sillabo si riferisce all’insegnamento della lingua straniera o della lingua come L2. Il sillabo è l’insieme dei contenuti e degli argomenti finalizzati ad acquisire una competenza linguistico-comunicativa. Il concetto si può applicare anche all’insegnamento della lingua madre poiché vi sono molti tipi di sillabo: oltre a quello morfosintattico e lessicale, sui quali si pone principalmente l’accento nell’insegnamento della lingua, ci sono quello fonologico, culturale, comunicativo.
  6. A questo proposito si vedano le “Indicazioni strategiche per l’utilizzo didattico delle attività teatrali” per l’anno scolastico 2016/17 con le quali il MIUR riconosce il valore pedagogico e didattico del teatro nella scuola.

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