Le aziende sarebbero pronte a promuovere oltre un milione di nuove assunzioni, ma non riescono a reperire figure sufficientemente qualificate, soprattutto nel ramo informatico, ingegneristico e bancario.
Le aziende hanno difficoltà nel reperire i profili qualificati che più si addicono alle loro esigenze di mercato; uno studio organizzato da Anpal e Unioncamere evidenzia che quasi un terzo delle aziende (31%) fa fatica a reperire lavoratori per 1,2 milioni di contratti per i primo trimestre del 2019.
L’Italia è ricca di piccole e medie imprese, le quali, sebbene dotate di duttilità e flessibilità, fanno fatica ad adattarsi ai nuovi paradigmi tecnologici e informatici; esse infatti, operano in settori con un “basso valore aggiunto” e richiederebbero lavoratori talvolta meno qualificati rispetto alle schiere di laureati che sfornano le nostre Università. Esiste anche il fenomeno opposto, relativo al fatto che troppi individui sotto-qualificati fanno fatica a trovare e a conservare un impiego.
Viviamo in un paradosso che vede penalizzati pressoché in egual misura lavoratori sovra-qualificati e sotto-qualificati.
Un recente studio, condotto da JpMorgan e Bocconi, denominato “New skills at work” ha messo in luce il triste fenomeno dello “skill mismatch”, ossia il disallineamento tra le discipline accademiche scelte dagli studenti e le competenze richieste dal mercato del lavoro.
Questo disallineamento rischia di lasciare indietro lavoratori con profili di basso livello, considerati, per formazione o per ragion anagrafiche, non adatti ad apprendere le competenze tecniche delle nuove professioni digitali; dal lato opposto, individui pieni di talento da offrire non trovano modo per esprimerlo, accontentandosi di svolgere lavori precari e poco retribuiti (un esempio su tutti i cosiddetti rider, addetti alla consegna di cibo a domicilio, le cui performance vengono monitorate da un algoritmo).
Non c’è da stupirsi se molti di loro, dopo aver racimolato una cifra accettabile, scelgono di emigrare all’estero, alla ricerca di opportunità migliori; questo fenomeno, noto come “brain drain” o fuga di cervelli, è più che mai attuale e non accenna ad arrestarsi. Un vero peccato, se pensiamo che lo Stato italiano, nel suo insieme, investe nel settore dell’istruzione circa 69 miliardi di euro ogni anno.
Studiare le S.T.E.M. è la prima ancora di salvezza
Nel Belpaese, il tasso di disoccupazione che colpisce i laureati nella fascia dai 25 ai 39 anni oscilla tra l’8 e il 13%, molto più che in Germania (2-4%). Questo dato negativo risente del fatto che molti studenti universitari prediligono la scelta di lauree umanistiche, afferenti alle discipline sociali e letterarie, lasciando in secondo piano percorsi tecnico-scientifici come ingegneria, medicina e discipline STEM in generale.
L’acronimo inglese STEM sta per l’inglese Science, Technology, Engineering and Mathematics (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), e indica l’insieme di discipline sempre più richieste da una società che ha visto esplodere il settore IT e i servizi che ruotano attorno al terziario avanzato.
Soft skills e percorsi ibridi: un must da mettere a Curriculum
In ogni caso, il quadro d’insieme, nonostante evidenzi alcune criticità rilevanti, non deve indurre al pessimismo e alla rassegnazione; come già accennato, alcuni risultati incoraggianti che spingono nella giusta direzione sono già stati raggiunti.
I futuri lavoratori vanno guidati a percorsi ibridi, che li portino ad acquisire sia le competenze tecniche necessarie per la professione che vogliono intraprendere, sia quelle umanistiche, legate alla negoziazione e alle soft skill. Gli studenti dovrebbero avere un quadro d’insieme basilare in entrambe queste macro-aree, decidendo in seguito quale direzione seguire e quale percorso consolidare, tenendo presente sia le loro aspirazioni, sia le reali prospettive del mercato del lavoro.
Si tratta di preparare menti flessibili sul piano matematico e tecnico, contemplando anche una buona preparazione filosofica e letteraria, che punti a valorizzare anche le lingue straniere come inglese, russo e cinese, che nel breve futuro rappresenteranno un “must” per poter essere relazioni commerciali in un mercato globalizzato. Uno scorcio di questo scenario è offerto dalla nuova “Via della Seta”, che proietterà l’economia cinese in una dimensione ancora più intrecciata con quella europea, interessando sul piano economico e geopolitico anche le aree che fanno da cerniera, come il Medio Oriente e la Federazione Russa. Per comprendere meglio la portata di questo progetto, vi consigliamo di consultare questo articolo, pubblicato da Lorenzo Lamperti sul sito di “Affari italiani”.
Per cogliere un futuro denso di sfide e di opportunità, i nostri giovani devono tornare a sognare, partecipando attivamente a percorsi ibridi e di “contaminazione”, soprattutto se si trovano nella fascia d’età che va dai 16 ai 25 anni; un esempio è dato dagli ITS e dai Contamination Lab (C-LAB), che offrono percorsi di apprendimento innovativo, adatti a creare curiosità e interesse verso nuove nicchie come VR, realtà aumentata, meccatronica, gaming.