Cosa sono le soft skills e competenze trasversali?
Il mercato del lavoro è diventato negli ultimi 20 anni più difficilmente decifrabile. In una società liquida, che ha visto le economie emergenti come la Cina crescere a ritmi esponenziali, nuovi paradigmi economici hanno interessato il mondo economico nel suo insieme, con un incentivo all’aumento del settore dei servizi e del terziario avanzato e con una profonda trasformazione dei settori tradizionali, come quello agricolo e industriale.
Fino alla fine del XX secolo, le competenze apprese nei percorsi scolastici e accademici hanno permesso ad una moltitudine di laureati specializzati di avviarsi alle attività tradizionali di medico, notaio, commercialista, assicuratore, bancario, etc.
Le competenze apprese garantivano un alto tasso di specializzazione, e tutto ciò bastava in genere a garantire la creazione di un percorso professionale solido e definito.
Con l’avvento della new economy e della crescente digitalizzazione dei primi anni Duemila, la dimensione relazionale insita negli ambienti di lavoro ha assunto una rilevanza via via crescente.
Per definire il nocciolo duro di quelle che in italiano chiamiamo competenze trasversali, viene utilizzata l’accezione inglese di soft skills.
I mutamenti dirompenti che hanno scardinato i settori professionali nel Novecento hanno aumentato la necessità di essere abili e competitivi nel gestire le sfide della quarta rivoluzione industriale.
L’aumento della competitività ha generato un diffuso senso di ansia e insicurezza, che ha interessato le classi lavoratrici precarizzate, soprattutto quelle che una volta componevano il cosiddetto “ceto medio”.
Reputazione sociale
I canali tradizionali per la costruzione di un percorso lavorativo autonomo e regolare sono stati rimpiazzati dalle nuove reti sociali digitali, che, fungendo da vetrine virtuali, permettono a milioni di profili di essere visualizzati e consultati.
Reti sociali professionali come LinkedIn e Spiceworks e reti sociali più informali come Facebook e About.me consentono a milioni di profili d’interagire tra loro e di conoscere potenziali clienti, dipendenti o partner professionali.
Gig economy
Tutto ciò si sta rivelando funzionale all’instaurazione di un nuovo fenomeno, quello della gig economy, che permette ai professionisti più o meno qualificati di organizzare le loro task lavorative in modalità just-in-time, a seconda delle esigenze dei clienti, prediligendo forme contrattuali non continuative. Questo nuovo ecosistema ha permesso la nascita di nuovi sevizi come Prontopro, Deliveroo, Foodora, Uber, Blablacar, etc.
La trasformazione digitale ha portato moltissime persone a riversarsi sia sulle reti sociali, sia sulle app della gig economy; in tutto ciò la reputazione dei candidati che si offrono su queste piattaforme è diventata fondamentale.
Le competenze trasversali, soprattutto se improntate al dialogo e alla condivisione di percorsi ed esperienze, permettono di costruire network professionali solidi e affidabili, aumentando la percezione del valore offerto, al di là della nicchia di mercato nella quale si opera.
Può sembrare paradossale, ma anche in un’epoca in cui è in voga la selfie generation, il successo, solo in apparenza individuale, si costruisce lavoro a partire da una buona reputazione sociale, che va coltivata in ogni ambito della propria vita, sia reale che digitale.
Le soft skills quindi, assumono una valenza fondamentale, non inferiore alle competenze tradizionali (o hard skills). Prima di approfondire efficacemente quali sono le soft skills più richieste nei contesti professionali al giorno d’oggi, è bene ricordare che esse non sono in contrapposizione alle hard skills, ma le completano, essendo entrambe 2 facce della stessa medaglia.
Le soft skills e competenze trasversali che conteranno di più nel futuro
Il World Economic Forum stima che, entro il 2020, il 35% delle competenze ritenute oggi fondamentali nel mondo del lavoro cesserà di essere tale.
Lo scenario, reso già complesso dalla presenza della sopracitata gig economy, sta diventando ancora più multiforme, grazie alla crescita di fenomeni come l’automazione dei trasporti, l’intelligenza artificiale, la domotica, la green economy, le biotecnologie e la genomica.
Se pensassimo che gli impieghi del futuro siano appannaggio soltanto dei cosiddetti “cervelloni”, cadremmo in errore: le abilità tecniche, acquisite con anni di continua formazione, saranno sì importanti, tuttavia da sole non basteranno a fare la differenza.
Tra le prime cinque competenze trasversali che determineranno i contesti professionali a partire dal 2020, troviamo la creatività, la gestione del personale e il coordinamento delle attività con altri colleghi e superiori (cioè la capacità comunicativa e il lavoro in team); si tratta di abilità che richiedono lo sviluppo della cosiddetta intelligenza sociale, basata su una buona dose di empatia e apertura verso gli altri.
Secondo il World Economic Forum, l’intelligenza dei robot si svilupperà ulteriormente, ma resterà confinata all’ambito “artificiale”, senza diventare autenticamente “creativa”.
L’essere umano, invece, sa essere creativo, proponendo cambiamenti organizzativi in grado si snellire i processi aziendali interni. La creatività viene alimentata da un ambiente di lavoro stimolante, che preveda anche spazi ludici e di svago: questo modello, adottato anche da multinazionali del settore IT come Google, porta avanti ciò che viene definito come ozio creativo, con risultati positivi sulla produttività e sul clima aziendale.
La capacità di affrontare decisioni in base alle differenti esigenze operative, pur rimanendo importante, perderà terreno, in quanto saranno i robot e altre forme di intelligenza artificiale come i chatbot a poter svolgere processi decisionali; questo sarà reso possibile grazie allo sviluppo della miniaturizzazione dei chip quantistici, unito a quello dell’intelligenza semantica.
Vale la pena ricordare comunque che l’intelligenza artificiale potrà essere di supporto alla presa di decisioni di basso livello, lasciando la costruzione di processi decisionali di alto livello alla componente umana, l’unica che sa individuare con perspicacia la mission e la vision di un’organizzazione aziendale.
I vari settori economici e industriali, ad eccezione di quello IT, risultano indietro nell’adattarsi ai processi di digitalizzazione, poiché operai e impiegati con mansioni più operative (vale a dire i blue-collar) hanno ancora poca dimestichezza nell’uso dei nuovi device digitali.
Se creatività, coordinamento del personale e lavoro di squadra sono importanti, la competenza trasversale ritenuta in assoluto determinante dal World Economic Forum nel report sulle soft skills del 2020 è quella del problem solving strutturato; ma cosa significa questa definizione e come si articola? Sinteticamente, il problem solving strutturato consiste in un approccio metodologico che permetta d’individuare un problema da risolvere, trovando la soluzione più adatta a quel problema, tenendo conto anche del contesto che lo ha prodotto. Esempi banali di casi che necessitano di problem solving sono un prototipo guasto, un cliente insoddisfatto e l’incapacità di rispettare una scadenza prefissata.
L’abilità del problem solving predispone un’ampia capacità di autonomia e di gestione delle emozioni, soprattutto in contesti critici e stressanti.
Lo scenario che si prospetta nel prossimo futuro è quello di un Giano bifronte. Da una parte lo sviluppo di una tecnologia fredda, che, se lasciata a briglie sciolte, rischia di sacrificare i diritti umani connessi al lavoro sull’altare della competitività. Dall’altro la forte impronta etica volta a imbrigliare questa tecnologia, pur senza demonizzarla, mettendo al centro il benessere della persona, invece di quello asettico del capitale finanziario, incentivando quindi il capitale umano.
Che l’evoluzione tecnologica non possa essere tale senza l’ausilio dell’etica lo dimostra anche una recente ricerca di Swg, la quale, sondando un campione sociodemografico stratificato di 1000 intervistati, evidenzia che il 51% di essi ritiene importante il mutualismo e il 64% la condivisione.
Da ciò si evince che concetti come quelli di sharing economy ed economia circolare siano tutt’altro che utopistici.
Breve focus sulle soft skills legate al “sistema paese”
Se guardiamo allo scenario italiano, le sfide della Quarta Rivoluzione Industriale hanno portato, seppur in maniera incompleta e parziale, allo sviluppo di un Piano Industria 4.0.
Il Ministero per lo Sviluppo Economico, a partire dagli ultimi governi, sta cercando di incanalare le energie verso la creazione di nuovi poli professionali e imprenditoriali, che aiutino a formare professionisti in nell’ambito dell’Internet of Things, cloud computing, intelligenza artificiale e Blockchain.
Lo Stato, da entità burocratica e lenta deve trasformarsi, abbattendo le barriere fiscali, comunicative e organizzative, che hanno impedito al nostro Sistema Paese di beneficiare pienamente degli aspetti positivi potati dalla trasformazione digitale.
Le competenze trasversali si riveleranno come il carburante essenziale, in grado di far ripartire a tutta velocità l’ascensore sociale del nostro Paese, rimasto per troppo tempo impantanato. Non investire su di esse sarebbe un grave errore, che ricadrebbe sulle future generazioni.