La convivenza generazionale tra opportunità e sfide future

Una delle chiavi di lettura per poter iniziare un’analisi di previsione sociale dei prossimi 20 o 30 anni, è il confronto generazionale. Attualmente vivono e convivono sette generazioni e all’interno del contesto socio-economico e professionale mediamente 5 condividono e si relazionano nello stesso ambiente di lavoro.
Il tema generazionale è di per sé trasversale ai diversi megatrend che via via in questi anni sono frutto di approfondimenti, come il cambiamento climatico, l’urbanizzazione, il calo demografico, la digitalizzazione e le nuove ricchezze solo per citarne alcuni.

CHE COSA SI INTENDE PER GENERAZIONE?

Lynne Lancaster e David Stillman in “When generations collide” (2012) definiscono che “ogni generazione elabora e agisce eventi, valori professionali e di vita, capacità e competenze a seconda del periodo storico-sociale e tecnologico che respira e vive negli anni dell’adolescenza e della giovinezza, anni che determinano in buona parte anche le scelte future. Il risultato di questi eventi e condizioni […] è l’adozione, da parte di ogni generazione, di una sua propria “personalità generazionale”.

Approfondire il tema generazionale non significa creare confronti o etichette ma comprendere come i cambiamenti e le criticità di una generazione possano essere anche delle opportunità per le successive.
Da un punto di vista metodologico per riuscire a definire meglio una generazione si definisce un intervallo temporale convenzionale di circa 15/20 anni tra una generazione e l’altra, con uno scostamento di 3-5 anni.

Isabella Pierantoni, tra le studiose più esperte di impatto generazionale (www.generationmover.com), ha elaborato uno studio in cui vengono esemplificati, attraverso una linea temporale, i passaggi generazionali fino al 2010, momento in cui si dà avvio alla più giovane tra le generazioni ovvero l’ Alpha generation.

timeline generazioni

QUANTO INCIDE IL FENOMENO GENERAZIONALE SUL MEGATREND DEMOGRAFICO?

Tra gli aspetti più interessanti degli studi generazionali vi è la possibilità di poter analizzarli in una visione più ampia e sistemica. In particolare l’approfondimento che proponiamo riguarda il megatrend demografico.
L’Italia insieme al Giappone e alla Germania risulta tra i Paesi più longevi al mondo. Ma questo cosa significa? L’ aspettativa di vita alla nascita nel 2017 era di 80,6 anni per i maschi e di 84,9 anni per le femmine e il dato è in crescita in quanto, entro la fine del secolo si auspica di “registrare un ultraottantenne ogni sei persone” (Poli, 2019). Provare a partire da qui per fornire un frame di riferimento permetterà di comprendere come uno dei megatrend più “calcolabili” non è stato ancora seriamente preso in considerazione dal paese Italia e quali sono le possibili conseguenze rispetto al presente e alle generazioni future.

L’ITALIA IL PAESE PIU’ VECCHIO D’EUROPA: COSA SIGNIFICA?

Il “debito demografico” non è certo una novità per l’Italia e risulta essere già pesante nei confronti delle nuove generazioni.
L’Italia è il primo paese al mondo a registrare:

  • il sorpasso, in termini di quantità di popolazione, degli over 65 rispetto ai giovanissimi under 15; gli over 65 sono il 22% rispetto ad una media europea del 18%
  • la più bassa incidenza di persone under 25, che dal 1926 al 2017 è passata dal 49% al 23%
  • il calo demografico è costante e si stima di arrivare, a fine secolo, intorno ai 16 milioni di abitanti in Italia a fronte dei 60 milioni odierni (“Italia fra 100 anni, per esperti solo 16 milioni di abitanti” ANSA 2018 ).
  • l’indice di vecchiaia, ovvero la proporzione tra over 65 e under 15, moltiplicato per 100, è in continua crescita.

Su quest’ultimo punto è bene non tralasciare i dati incrementali a livello cronologico nel 1981 l’indice in questione era al 62% nel 2001 al 132%, nel 2011 al 150%, al 1° gennaio 2018 in Italia ci sono 168,7 anziani ogni 100 giovanissimi e si stima che nel 2050 ce ne saranno 265 ogni 100 ( Istat, Rapporto annuale 2018. La situazione del paese, Roma, 16/05/2018, p. 139).

Al debito demografico si aggiunge il debito pubblico superiore attualmente al 130% del Pil. Letti insieme i due fattori portano ad una visione predittiva molto chiara: non stiamo andando nella giusta direzione! Non considerare urgente il fenomeno demografico è un atteggiamento piuttosto irresponsabile, soprattutto in una visione sistemica a medio-lungo termine, nei confronti delle generazioni a venire.
Il modus operandi della visione a breve/brevissimo termine, senza considerare una visione d’insieme sistemica ed equilibrata, è piuttosto dannosa, sia per le politiche demografiche che per quelle economiche, e lo è anche non considerare la “giustizia intergenerazionale”, perché quanto fatto finora è orientato al massimo soddisfacimento di bisogni urgenti del presente, compromettendo così la possibilità delle generazioni future di soddisfare i loro.
Nella relazione tra calo demografico, invecchiamento della popolazione e debito pubblico, ciascuno fra i 3 elementi ha effetti negativi sugli altri.
Di conseguenza sono sempre più ingenti i costi per le politiche di welfare e di certo non basta rimandare il problema alle generazioni future, tanto più se la considerazione verso tali si assottiglia fino ad arrivare quasi alla sparizione. In sostanza il debito demografico e il debito pubblico, per citare Golini (2019), sembrano essere “debiti gemelli” che graveranno sulle prossime generazioni non solo nel futuro ma anche nel presente.

IL FENOMENO MIGRATORIO ITALIA – EUROPA – AFRICA

Infine un ultimo elemento per riuscire in questa analisi di sintesi demografica italiana è il fenomeno migratorio ad oggi stabile dal 2018 all’ 8,5%. Tale fenomeno non è sufficiente per compensare la mancanza demografica perché, nonostante le donne straniere abbiano mediamente più figli delle donne italiane (1,98 rispetto a 1,24), nel tempo c’è stato un progressivo adattamento dei comportamenti sociali.
Ampliamo il raggio di osservazione sull’Europa: se nel 2015 si registra una popolazione pari a 597 milioni di abitanti, per il 2050, secondo le proiezioni, è previsto un calo fino a 583 milioni di abitanti;
Il dato è ancora più di impatto se lo si considera in proporzione a quello della popolazione africana, per il quale, per il 2050, si prevede una crescita fino a 2,5 miliardi di abitanti (5 volte il numero di persone viventi in Europa).

1950 2015 2050
Africa 229 milioni 1.194 milioni 2.528 milioni
Europa (esclusa Russia) 447 milioni 597 milioni 583 milioni

Tabella – popolazione africana ed europea a confronto (in milioni) – rielaborazione da dati ONU.

Attraverso l’infografica si coglie in modo intuitivo il dato mediano dell’invecchiamento della popolazione a livello mondiale e come sia urgente intervenire con politiche lungimiranti non solo sui temi di sanità, assistenza e welfare ma anche in termini di educazione/istruzione e lavoro per non rischiare un’implosione (soprattutto in Italia).

Median age is the age that divides a population into two numerically equal groups – that is, half the people are younger than this age and half are older. It is a single index that summarizes the age distribution of a population. Currently, the median age ranges from a low of about 15 in Uganda to 40 or more in several European countries, Canada and Japan.

QUALE SFIDA PER IL FUTURO?

In una recente ricerca di OECD library è stato pubblicato una sintesi del contributo tra l’aspetto generazionale, l’invecchiamento della popolazione e le politiche del mercato del lavoro e come possano contribuire ad un equilibrio e a grandi opportunità se pensate in modo strategico per i lavoratori, le imprese e la società.

Infatti, si stima che la creazione di forza lavoro multigenerazionale e l’offerta di maggiori opportunità di lavoro ai dipendenti più anziani potrebbe aumentare il PIL pro capite del 19% nei prossimi tre decenni.
Nuove prove nei paesi OCSE mostrano che i lavoratori anziani possono aumentare la produttività delle imprese non solo attraverso la propria esperienza e know-how, ma anche migliorando le prestazioni del team se i più maturi e i più giovani rendono le proprie competenze in modo complementare. Tuttavia, ciò richiede le giuste politiche e pratiche da parte dei datori di lavoro e delle policy di stato attraverso il dialogo sociale per garantire che i benefici di una forza lavoro multigenerazionale siano pienamente realizzati. Per molti anni la direzione non è stata questa e, ad oggi, i margini di miglioramento sono ancora piuttosto ampi. In particolare si dovrebbe agire su tre fronti per ottenere il massimo da una forza lavoro inclusiva dell’età e prosperare nel nuovo mondo del lavoro.

In primis attrarre e trattenere i talenti multigenerazionali è un punto di partenza sostanziale, eliminando i pregiudizi a partire dalla fase di selezione e recruitment affinché i candidati siano incoraggiati e apprezzati a prescindere dall’età. Ancora oggi molti lavoratori, dai più anziani ai più giovani, si trovano, invece, nella condizione di essere discriminati per questo.
La pianificazione strategica della forza lavoro, ad esempio, può essere una soluzione vantaggiosa per i datori di lavoro per anticipare il mercato per evitare carenze di competenze prima che appaiano assumendo in base alle priorità delle competenze piuttosto che all’età. Molte aziende stanno investendo in programmi di formazione sulla diversità per eliminare i pregiudizi. Inoltre, l’utilizzo di immagini e linguaggi neutri in base all’età negli annunci e nelle descrizioni di lavoro, nonché l’uso di programmi software relativamente alle candidature, può ridurre al minimo l’impatto degli stereotipi legati all’età nel processo di recruitment. A seguire, mantenere i talenti all’interno dell’impresa vale tanto quanto trovarli, quindi l’avvio di piani di mantenimento e opportunità di carriera, welfare aziendale e politiche di fidelizzazione possono contribuire al successo.

Un secondo elemento importante è mantenere e garantire un ambiente di lavoro sano, ad esempio attraverso possibili opzioni di lavoro flessibile a supporto dei lavoratori durante il corso della vita (con annessi possibili cambiamenti famiglia e figli ad esempio) per prevenire il burnout, gestire le responsabilità familiari e impegnarsi nella formazione e nell’apprendimento continuo. La pandemia COVID-19 ha accelerato il passaggio di molte aziende verso un’offerta di lavoro più flessibile. Tuttavia, il telelavoro (o lo smartwork) deve essere attentamente progettato per soddisfare le esigenze dei lavoratori e dei datori di lavoro. In particolare, i lavoratori di tutte le età devono disporre degli strumenti e delle competenze digitali per lavorare da casa.

Il terzo elemento è lo sviluppo e il mantenimento delle competenze durante tutta la carriera. Poiché le persone prolungano sempre più la loro vita lavorativa, è fondamentale promuovere il continuo sviluppo delle loro competenze durante il loro percorso professionale, anche se esistono molteplici differenze (almeno in Italia) tra imprese più o meno strutturate, tra chi è più giovane e più anziano, tra chi ha dei contratti di lavoro più stabili rispetto a chi ha ruoli meno qualificati e lavorano ad orari ridotti o part time. Tuttavia, si sta lavorando molto per promuovere efficacemente lo sviluppo e la formazione continua durante il lavoro, grazie ad investimenti in termini di tempi e risorse sulle revisioni delle carriere di mezza età attraverso pratiche e strumenti come il mentoring e il coaching appunto volti allo sviluppo di abilità e competenze più diffuse nella gestione dei talenti. A livello organizzativo, sia l’uno che l’altro sono entrambi efficaci a condizione che ci si impegni a mantenere un ambiente favorevole e volto al cambiamento.

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